di Guillaume Petermann
Ogni sera ad Harar, nell’Etiopia orientale, si rinnova l’eccezionale incontro tra un uomo e decine di iene maculate. Si chiama Abbas Saleh, ma tutti in città lo conoscono come “Hyena Man”, “l’uomo delle iene”. Ha imparato da suo padre a prendersi cura di questi animali selvatici, un compito tramandato da generazioni nella sua famiglia.
Mentre il sole inizia a tramontare dietro i minareti, si sentono in lontananza le voci dei muezzin che annunciano la quarta preghiera della giornata. Il cielo, prima infuocato, si oscura lentamente. I cani d’un tratto abbaiano, avvisando dell’avvicinarsi di un pericolo. Ben presto, dall’oscurità emerge la sagoma di una iena, attirata da una litania di nomi. «Koti, Challa, Botay, Chaltou, Falmata…», urla a gran voce, con le mani a megafono, un uomo seduto su una roccia.
Si chiama Abbas Saleh, ma per tutti qui è “Hyena Man”: l’uomo delle iene. Ogni sera richiama decine di iene maculate che popolano i dintorni della città. Abbas è infatti il custode di una tradizione secolare che lega gli abitanti di Harar, antica città fortificata dell’Etiopia orientale, a questi predatori, comunque temuti per la loro propensione ad aggredire polli, capre, vacche.
Un rapporto speciale
La iena avanza silenziosamente, a passi diffidenti. Giunta a circa un metro da Abbas, si mette a danzargli attorno sorniona: impaziente, lo sollecita a servire la cena. L’uomo tira fuori un primo pezzo di carne dal suo cestino, e con uno scatto felino l’animale lo afferra, per poi ritirarsi nell’oscurità a godersi il suo pasto. Non è sola. Decine di occhi cominciano a brillare nell’ombra: si materializza un branco di una quarantina di iene. Hanno l’aria famelica, saltellano eccitate. Emettono grugniti e versi simili a risate sinistre da mettere i brividi. Sembrano ipnotizzate dai richiami di Abbas, attendono il proprio momento – ovvero di essere chiamate per nome – per unirsi al banchetto. Afferrano la carne dalle mani di Abbas e corrono poco in là a divorarsela. Alla fine ogni iena avrà avuto la propria… fetta di torta.
La scena si ripete ogni sera: talora alle luci degli smartphone dei rari turisti che giungono su queste alture per ammirare i magnifici vicoli e le antiche moschee della città, Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. Più spesso il rito avviene nella solitudine che avvolge le serate di Abbas. L’uomo ha imparato da suo padre Yusuf a rapportarsi con questi animali e negli anni ha stretto con loro un rapporto speciale, unico, di fiducia e complicità: li nutre, li abbraccia e gioca con loro. Fa in modo che i più ingordi lascino spazio nel banchetto ai compagni più timidi, pur nel rispetto della gerarchia altamente strutturata del branco. Le iene dominanti si scelgono i bocconi migliori, quelle di rango inferiore attendono pazientemente il loro turno.

Di padre in figlio
Questo curioso e affascinante rituale s’intreccia con l’incerta storia di Harar. Secondo fonti locali, l’usanza sarebbe una sorta di rito propiziatorio per proteggere la comunità locale dalle carestie che periodicamente affliggono il Corno d’Africa. Altre testimonianze fanno invece ricondurre l’origine dello strano spettacolo alla metà del XIX secolo, quando i residenti di Harar, stanchi dei ripetuti attacchi delle iene, decisero di praticare dei buchi nelle mura della città con l’idea di gettarvi ogni giorno gli avanzi di cibo. Gli abitanti presero così l’abitudine di condividere i propri scarti alimentari con le iene, ponendo fine ai loro attacchi.
Nel corso del tempo, questa tradizione si sarebbe evoluta in un’attività a pieno titolo, la cui responsabilità è stata delegata alla famiglia Salleh, che da generazioni se la tramanda di padre in figlio. Quando è scomparso Yusuf – che per oltre quarant’anni era stato l’uomo delle iene – l’incombenza è passata ad Abbas. Conscio dell’importanza del ruolo affidatogli, Abbas è orgoglioso di perpetuare la tradizione ed è intenzionato a trasferire questo compito ai suoi figli quando non sarà più in grado di svolgerlo. Per il momento, va ogni mattina al mercato nel centro della città vecchia, dominato dalle bancarelle dei macellai, per procurarsi carne fresca. Fino a 200 chilogrammi – frattaglie e ossa di cammello, pecora e capra… – che verranno distribuite ai suoi animali la sera stessa.

Città di grande fascino
I soldi per la spesa provengono dalle offerte dei vicini di casa e, quando ci sono, dai contributi dei turisti interessati ad assistere allo spettacolo serale. La comunità di Harar è piuttosto coesa. Posta a 1.885 metri di altitudine, non lontana dal confine con il Somaliland, la città è stata per secoli un importante centro commerciale, collegato all’intero Corno d’Africa e alla penisola arabica. Considerata quarta città santa dell’islam (dopo La Mecca, Medina e Gerusalemme), Harar, caratterizzata da un’architettura tradizionale unica, brilla come faro regionale della cultura islamica. Il suo centro storico circondato da antiche mura è rinomato per la moltitudine di santuari e moschee che ospita, risalenti anche al XIII secolo, nonché per le sue case dagli intonaci colorati. Anche il “poeta maledetto” Arthur Rimbaud ne rimase stregato: qui giunse nel 1880, a soli 26 anni, e vi prese casa.
Le mura che circondano la città vecchia furono costruite circa cinquecento anni fa per proteggerla dalle invasioni. Ogni mattina le cinque porte si aprivano accogliendo commercianti e visitatori. Al calar della notte, i non residenti venivano scortati fuori e le porte sigillate fino all’alba. I buchi praticati nel muro, attraverso cui le iene maculate potevano nutrirsi di notte, testimoniano il rapporto speciale, di lunga data, tra gli abitanti di Harar e questi animali che popolano le colline circostanti. L’economia regionale poggia in larga parte sulla coltivazione e sulla vendita del qat, una pianta dalle proprietà stimolanti ed euforiche ampiamente consumata in tutto il Corno d’Africa. Ma la prima occupazione di Abbas restano loro, le iene. Una dedizione che va ben al di là della semplice alimentazione quotidiana. Accoglie nella sua casa gli esemplari feriti e interviene anche per salvare quelli in difficoltà.
Intelligenza inaspettata
Creature tra le più disprezzate e svalutate dall’uomo – additate spesso come stupide e infide, se non feroci e opportuniste –, recenti studi scientifici hanno certificato che l’intelligenza delle iene maculate è paragonabile a quella di primati come gli scimpanzé. In effetti l’organizzazione gerarchica delle iene è più complessa di quella di molti altri mammiferi, e ricorda quella presente in società di primati come i babbuini o i macachi. Ogni clan è strutturato secondo una rigida gerarchia, con uno o più gruppi matrilineari costituiti da femmine adulte e dalla loro prole.
A differenza di molte altre specie, i ranghi sociali tra le iene non sono esclusivamente determinati da attributi come dimensioni, sesso, forza o aggressività. Nel loro caso, il potere è attribuito agli esemplari che possiedono la più forte rete di alleati all’interno del clan, ovvero che dimostrano, per così dire, capacità di leadership. Tale complessa organizzazione sociale è resa possibile dalla capacità delle iene maculate di riconoscere gli individui in base alla parentela, al rango sociale e al sostegno che offrono agli altri membri della comunità, proprio come fanno i primati. I loro comportamenti di caccia, alimentazione e combattimento sono tutti influenzati dalla loro posizione nella gerarchia del clan.

Reputazione ingenerosa
La iena maculata è un animale di difficile classificazione a motivo della sua biologia, che contribuisce anche al suo aspetto singolare e alla sua cattiva reputazione. La iena assomiglia e caccia come un cane, in realtà fa parte della famiglia delle manguste ed è quindi vicina a un gatto.
Le iene sono uno degli animali più fraintesi e denigrati, in parte a causa di credenze e leggende che persistono nel corso dei secoli. Sin dai tempi antichi molte culture hanno disprezzato le iene per la loro abitudine di dissotterrare carcasse e resti animali e di attaccare bambini e bestiame, dipingendole come creature vili e sporche. Anche film contemporanei come Il Re leone perpetuano questa immagine. La realtà è ben diversa, e le iene si sono rivelate creature affascinanti, come ben sanno gli abitanti di Harar. Durante la grande festa islamica dell’Ashura, i residenti offrono alle iene ciotole di aja, uno stufato tradizionale a base di avena e carne. Secondo la tradizione, se le iene accettano la succulenta offerta, l’anno che verrà sarà prospero. Non solo.
Si ritiene che questi animali famelici, oltre a svolgere il ruolo di “spazzini” ripulendo la città dei rifiuti organici, riescano a mangiare, quindi a eliminare, i jinn, gli invisibili spiriti maligni che insidiano la serenità degli uomini. A insidiare le iene, invece, è il boom edilizio di Harar. L’incessante costruzione di abitazioni moderne e di nuove strade stravolge il loro habitat e rischia di compromettere la salvaguardia dei branchi selvatici. L’espansione dell’area urbana restringe sempre più la distanza tra uomo e animali.
Anche se le iene maculate sono generalmente schive e timorose, ad Harar è facile avvistarle, persino per le vie del centro storico, dove contendono gli avanzi di cibo a cani e gatti. Nessuno osa far loro del male. Non sarebbe saggio prendersela con una iena. Attirerebbe sulla propria casa la malasorte, ogni sorta di maledizione. E la reazione imprevedibile del mite, ma pur sempre irritabile, Abbas.
Questo articolo è stato pubblicato sul numero 5/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.