Prosegue nel Nord-est della Nigeria la battaglia portata avanti dalla setta salafita Boko Haram. Nelle ultime settimane si sono seguite con cadenza regolare le notizie di assalti del gruppo jihadista ai villaggi che circondano Maiduguri, Damaturu e le altre maggiori città dell’area: a essere prese di mira sono le fattorie, le scuole e le abitazioni degli abitanti di religione cristiana. L’intervento dell’esercito nigeriano, la cui durezza è stata messa sotto accusa dalla comunità internazionale, non è bastato a riportare sotto controllo la situazione nelle regioni del Borno e dello Yobe, dove Boko Haram è maggiormente radicato. E’ in costante aumento l’esodo degli abitanti dei villaggi più minacciati nel vicino Camerun.
Abbiamo contattato Marco Di Liddo, analista responsabile del desk Africa presso il Centro di Studi Internazionali (Ce.S.I.) di Roma, per cercare di definir meglio le radici dello scontro frontale tra le istituzioni nigeriane e l’insorgenza islamista nel Nord del Paese. Ciò che risulta è un quadro complesso, in cui è forte il legame tra arretratezza socio-economica e istanze anti-statali.
D -Come si sta articolando la risposta del Governo e dell’esercito nigeriano alla minaccia terroristica nel Nord-Est del Paese?
R – L’ultimo evento di una certa rilevanza che ha caratterizzato la strategia antiterroristica del Governo nigeriano è stato la dichiarazione dello stato di emergenza e l’inizio di un’operazione militare nei tre Stati federali del Nord-est dove la presenza di Boko Haram è più forte (Yobe, Borno e Adamawa). Si tratta di un’operazione diversa da quelle lanciate in precedenza: per la prima volta sono stati usati assetti militari complessi, un numero di soldati molto elevato (circa 3mila uomini), aerei Alpha Jet ed elicotteri d’attacco Mil Mi-35. Si è trattato di un’azione più muscolare rispetto a quelle effettuate nel passato, che ha voluto colpire le basi di Boko Haram fuori dai centri urbani, quindi nelle zone semidesertiche al confine con Ciad e Niger, nelle foreste a Sud di Maiduguri e nel distretto di Marte. In aggiunta, da circa due anni il Governo nigeriano ha attivato nelle maggiori aree urbane degli Stati del Nord-est la Joint Task Force, un gruppo interforze formato da tutti gli organi statali coinvolti nella gestione della sicurezza interna (esercito, aeronautica, polizia, servizi segreti, uffici doganali, uffici immigrazione). E’ un dispositivo che supera le 3500 unità. A questo vanno aggiunte le pattuglie composte da militari degli eserciti nigeriano, nigerino e ciadiano: circa 1500 uomini che si muovono nell’area del lago Ciad. Infine, gli uomini dei corpi di polizia regolarmente attivi nelle aree del Paese. In definitiva, possiamo parlare di un dispositivo contro-terroristico e contro-insorgenza che supera le 10mila unità.
D – L’efficacia della risposta militare a Boko Haram è da tempo frutto di critiche. Quali sono i principali limiti della strategia?
R – I limiti non vanno considerati solo da un punto di vista militare, ma anche da quello politico e sociale. L’esercito nigeriano applica tecniche e strategie che, nel colpire i gruppi jihadisti, non considerano i danni collaterali sulla popolazione civile. Anzi, in alcuni casi il comportamento dei soldati degenera e si può assistere ad abusi di potere, rastrellamenti e pratiche predatorie. L’esercito agisce come una forza d’occupazione e ha, purtroppo, tutti i limiti che tradizionalmente caratterizzano la maggior parte degli eserciti africani. Se poi si considera il fatto che la Nigeria sta provando a combattere in maniera simmetrica un avversario che simmetrico non è, si comprende la portata della problematica, con i jihadisti che si ritirano in attesa di riorganizzarsi e colpire con le tecniche della guerriglia e degli attentati suicidi. I gruppi jihadisti hanno un vantaggio forte: da un punto di vista politico, il governo nigeriano non riesce a instaurare un dialogo forte con i kanuri, l’etnia che è alla base dell’insorgenza di Boko Haram. I tentativi di dialogo, passati anche attraverso la proposta di un’amnistia e la creazione di un consiglio degli anziani che doveva mediare tra Governo e istanze di Boko Haram, non sono stati portati avanti in maniera approfondita e il risultato è stato un’escalation del conflitto. La Nigeria è un paese con enormi divisioni di reddito e povertà diffusa – nonostante il PIL nigeriano sia uno dei più ricchi del continente. Il Nord-est è la zona più povera del Paese, che vive di agricoltura di sussistenza e allevamento portato avanti con mezzi limitati. Se lo Stato è lontano da quelle zone e non asseconda le istanze e le richieste di quella comunità, la battaglia è destinata a protrarsi per sempre. Si può anche decidere di firmare una tregua con alcuni leader dei gruppi, concedendo loro privilegi e denaro, ma in assenza di una politica di welfare e di integrazione politica di ampio respiro, l’insorgenza kanuri è destinata a riprendere. In tale quadro, per il giovane nigeriano disoccupato del Nord-est combattere con Boko Haram è spesso un’alternativa alla povertà estrema, a una vita di stenti. Il messaggio estremista trova terreno fertile in ambienti poveri, nella completa assenza di strutture educative e di assistenza adeguate. Se il Governo continuerà ad agire solo militarmente, la soluzione rimarrà lontanissima. Se poi si pensa che un ruolo importante è giocato da governatori dell’area, espressioni dell’etnia Hausa e quindi di realtà etniche, religiose e politiche in competizione con quelle del sud del Paese, si capisce come l’insorgenza sia talvolta anche foraggiata per destabilizzare l’attuale governo di Goodluck Jonathan, espressione del Sud cristiano.
D – L’elezione di un Presidente musulmano potrebbe calmare le acque nel Nord-Est del Paese?
R – Potrebbe esserci qualche miglioramento. Se fosse eletto un leader hausa-fulani, principale etnia di religione islamica nel Paese, ci sarebbe più attenzione alle necessità del Nord-est e potrebbero aprirsi nuovi canali per il dialogo: una presidenza hausa spingerebbe forse molti combattenti di Boko Haram ad abbandonare l’insorgenza in cambio di posti di lavoro o benefici di altro genere e potrebbe spingere molti finanziatori hausa di Boko Haram a interrompere gli aiuti sottobanco per non destabilizzare la nuova presidenza “amica”. Da questi giochi di potere e reti di alleanze, tuttavia, rimane sempre esclusa l’etnia kanuri, di cui fa parte il nucleo forte dei combattenti bokoharamisti. Quella kanuri è un’etnia subordinata a quella hausa, che ha legami etnico-tribali ed una struttura proprie: questo rende complesso prevedere l’esito di eventuali negoziazioni. Inoltre, non è da trascurare il peso della penetrazione qaedista.
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D – Quanto è concreto oggi il rischio di un contagio della minaccia jihadista nei paesi vicini alla Nigeria?
R – E’ un rischio incombente. Nell’area, il Paese più attento alla sicurezza dei propri confini è il Ciad, la cui tradizione militare garantisce un’affidabilità superiore a quella dei vicini. Stesso non si può dire del Niger, a forte rischio perché molto prossimo alla Nigeria da un punto di vista etnico, linguistico, religioso e geografico. La difficile situazione interna nigerina lascia spazio alla propagazione del messaggio jihadista e alla radicalizzazione. Inoltre, il confine tra Nigeria e Niger è poroso e difficilmente pattugliabile, cosa che ha consentito a Boko Haram di impiantare alcune basi logistiche e di addestramento nel Paese. Il recente assalto a una prigione di Niamey, in cui era coinvolto un nucleo bokoharamista andato a liberare alcuni compagni lì imprigionati, rivela l’entità del problema. Anche in Camerun è verificata, da oltre un anno, l’attività di Boko Haram e il rapimento di una famiglia francese nello scorso febbraio (poi liberata) ne è stato prova evidente. Anche lì i limiti operativi delle locali forze dell’ordine, l’indefinitezza dei confini e la presenza di foreste che offrono ideale riparo consentono ai nuclei bokoharamisti di muoversi con grande disinvoltura. In ogni caso, l’Africa occidentale ha, in questo momento, diversi focolai di tensione che sono costantemente monitorati dai governi occidentali. I grandi interessi economici dei Paesi sia europei sia extra-europei impongono un monitoraggio continuo della situazione di sicurezza ed il costante miglioramento della cooperazione multilaterale in materia militare ed anti-terrorismo.
D – Nell’ultimo anno ha acquisito peso in Nigeria il movimento jihadista Ansaru, un offshoot di Boko Haram. Qual è l’entità della minaccia?
R – Per quanto ci è dato sapere, Ansaru è una realtà di etnia prevalentemente hausa che si muove secondo linee programmatiche diverse da quelle di Boko Haram. Infatti, quest’ultima ha un’agenda prettamente interna e le sue azioni sono volte a condizionare le istituzioni nigeriane. Al contrario, Ansaru è specializzata nei rapimenti di cittadini occidentali ed è più vicina all’ideologia qaedista. La sua nascita, frutto di una scissione interna a Boko Haram, è il prodotto di un fenomeno di progressiva decentralizzazione del terrorismo, con al-Qaeda che devolve sempre più potere ed autonomia alle proprie branche regionali. I contatti ed i legami tra Ansaru ed il network qaedista fa sì che, mentre Boko Haram rimarrà probabilmente più interessata alla lotta in territorio nigeriano, Ansaru possa divenire una nuova fucina di destabilizzazione regionale. * Andrea Ranelletti – L’Indro