Mali, i delicati intrecci dietro la pace

di Enrico Casale
Tuareg

Il Mali continua a faticare nel trovare una via d’uscita alla crisi politica e territoriale che, ormai da 3 anni, sta dividendo in due  il Paese. Iniziate otto mesi fa, sotto la supervisione dell’Algeria, le negoziazioni di pace tra Governo e gruppi di ribelli tuareg sembravano essere arrivate a un punto di svolta, con la presentazione da parte della mediazione internazionale di un testo definitivo che, per essere validato, richiede la firma di entrambe le parti. Anche se ha riscontrato subito il parere favorevole del governo guidato da Ibrahim Boubacar Keita (Ibk), il progetto non ha convinto la Coordination des mouvements de l’Azawad (Cma), una sigla che racchiude i quattro movimenti tuareg più influenti: il Mouvement National pour la Libération de l’Azawad (Mnla), l’Haut Conseil de l’Unité pour l’Azawad (Hcua), il Mouvement arabe pour l’Azawad (Maa) e la Coalition du peuple pour l’Azawad (Cpa). Secondo i portavoce della coalizione, l’accordo proposto non prenderebbe in considerazione alcune richieste fondamentali avanzate dai tuareg. Prima fra tutte il riconoscimento politico e giuridico dell’Azawad, termine con il quale gli «uomini blu» sono soliti indicare quella zona tra Sahara e Sahel, situata nella parte settentrionale del Mali. Alle richieste poi si aggiunge la creazione di un’assemblea interregionale che comprenda le zone di Gao, Timbuctu e Kidal.

Tra i principali sostenitori degli accordi di pace figura l’Algeria, che già nel 1991 e nel 2006 ha svolto il fondamentale ruolo di mediatore, riuscendo sempre a trovare una soluzione politica ai contenziosi tra Governo e tuareg. Nonostante l’iniziale freddezza mostrata durante lo scoppio della crisi nel 2012, il Governo di Algeri ha riallacciato i rapporti con Bamako nel corso dei mesi, rimpiazzando il Burkina Faso come intermediario. Oltre ad affermarsi come potenza nell’intera zona subsahariana, l’Algeria ha interesse nel ricoprire questo compito anche per arginare la minaccia di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqmi).

A fare da contraltare all’influenza algerina c’è però il Marocco, suo storico avversario, che in quest’ultimo anno ha stretto rapporti con il Mnla, il più influente dei gruppi tuareg. Secondo esperti, dietro il rifiuto del Cma di firmare gli accordi ci sarebbe proprio Rabat, che starebbe spingendo affinché saltino anche questi negoziati. Destabilizzare il dialogo di pace tra Governo e gruppi ribelli aiuterebbe Mohamed VI ad acquistare peso sul territorio, scalzando così il rivale maghrebino dalla posizione di negoziatore.

Anche la Francia, che nella risoluzione della crisi maliana ha giocato fin dall’inizio un ruolo di primo piano, auspica una veloce risoluzione della contesa. Parigi ha preso parte attivamente alla lotta contro i jihadisti prima con l’operazione «Serval», nel gennaio 2013, e poi con «Barkhane», iniziata nell’agosto 2014. Truppe inviate dall’Eliseo nella sua ex-colonia hanno affiancato i caschi blu dell’Onu nel nord del Paese, sostenendo costi che hanno ormai superato di gran lunga le aspettative previste.

Il Mali e l’intera comunità internazionale restano quindi con il fiato sospeso fino al 15 maggio, data fissata per la firma degli accordi. Se il Cma manterrà la sua posizione, i trattati verranno siglati solo dal governo maliano. In altre parole, la situazione resterà quasi invariata, con i gruppi tuareg fermi sulle loro posizioni e la minaccia jihadista che continuerà ad aleggiare nella zona settentrionale del Paese.

Danilo Ceccarelli

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