Non solo animali in gabbia ma anche esseri umani, spesso entrati nel Paese senza autorizzazione, dietro le sbarre: in Libia, lo zoo di Tripoli – attualmente chiuso al pubblico – e’ diventato cosi’ una sorta di centro di accoglienza-prigione per gli immigrati. All’interno dello zoo, secondo un recente reportage del Libya Herald, accanto alle gabbie con gli animali sorge una struttura in cemento con porte e finestre munite di sbarre d’acciaio. Gli stranieri non restano più di 72 ore nella struttura, spiega il comandante di una milizia incaricata di controllare i documenti degli immigrati. Se tutto è in regola (passaporto, visto e certificato di salute) vengono rilasciati, altrimenti vengono trasferiti in veri e propri centri di detenzione sparsi su tutto il territorio e trattenuti a tempo indeterminato o espulsi. L’unità incaricata di controllare gli immigrati ferma decine di persone ogni giorno. Negli ultimi quattro mesi ne avrebbe arrestate oltre 5.000, la maggior parte proveniente da Africa Sub-sahariana, Tunisia e Marocco. Una volta nello zoo, i detenuti vengono sottoposti alle analisi del sangue – spiega Al Gerjame, il capo dell’unità per l’immigrazione clandestina – per verificare che non abbiano nessuna malattia. Secondo Al Gerjame, il 20% degli immigrati risulta positivo all’HIV o all’epatite. “Se positivi vengono trasferiti in centri speciali in attesa di essere espulsi. Se sani, invece, e hanno un visto regolare possono rimanere in Libia per lavorare”. Di recente Amnesty International ha denunciato le condizioni dei centri di detenzione – prigioni definite ‘centri di trattenimento’ – dove immigrati illegali (compresi bambini) e rifugiati sono detenuti a tempo indeterminato, in condizioni deplorevoli, ed ha chiesto al governo libico di porre immediatamente fine alla detenzione a tempo indeterminato solo per il controllo dell’immigrazione. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha di recente descritto la situazione in questi centri come precaria, sottolineando che nella maggior parte dei casi sono state osservate scarse condizioni igienico-sanitarie e un elevato rischio di contrarre malattie e infezioni.(ANSAmed).