Ancora un tentativo fallito colpo di Stato in Eritrea da parte dell’esercito, circa un anno e mezzo dopo che alcuni reparti di stanza nel sud del Paese occuparono la televisione di Stato. Nel gennaio 2013 la rivolta guidata dal colonnello Osman Saleh, fucilato dopo essersi arreso, fu soffocata nel sangue. Anche la ribellione del giugno 2015, secondo fonti della diaspora eritrea (dal Paese ultimo al mondo per libertà d’informazione non filtra nulla), sarebbe partita nella capitale da un reparto dell’esercito, esattamente da una brigata dell’Aeronautica guidata dal colonnello Tekle Bisrat che avrebbe cercato di catturare, lo scorso fine settimana, il presidente Isaias Afewerki.
Ma la guardia presidenziale, composta da militari fedelissimi nati in Etiopia è riuscita ad avere la meglio. Nella capitale è stata sospesa a lungo l’erogazione di energia elettrica e di acqua e sono state chiuse le strade di collegamento con gli altri centri del piccolo Stato africano. Il colonnello Bisrat sarebbe stato ucciso mentre molti militari, nonostante la chiusura della strada che conduce a est, sarebbero fuggiti in Sudan.
Dall’Eritrea, che le Nazioni Unite hanno di nuovo recentemente condannato per le numerose violazioni dei diritti umani, fuggono 5mila persone al mese per fuggire alla miseria, all’oppressiva dittatura che governa con il pugno di ferro da almeno 15 anni al servizio militare a vita. Secondo il quotidiano britannico Guardian, alcuni Paesi europei tra cui l’Italia – avrebbero proposto denaro al dittatore per chiudere le frontiere e fermare il flusso di profughi. Gli eritrei sono la seconda nazionalità, dopo i siriani, a cercare rifugio in Europa.
(18/06/2015 Fonte: Avvenire)