17/09/13 – Nigeria – Sequestrati nel Delta del Niger, nonostante l’amnistia

di AFRICA

“Da un punto di vista sociale il Delta del Niger è tenuto insieme solo dagli stipendi che il governo paga agli ex militanti dei gruppi armati nel quadro dei programmi di amnistia”: lo dice alla MISNA Sunny Ofehe, giornalista e osservatore di una regione chiave per gli equilibri nazionali ma che resta ostaggio di povertà e violenza.

L’ultima conferma si è avuta nei giorni scorsi, con il rapimento dell’arcivescovo anglicano Ignatius Kattey nei pressi di Port Harcourt, la capitale petrolifera del Delta e della Nigeria. Sulle circostanze del sequestro e del suo successivo rilascio, avvenuto sabato dopo appena otto giorni, circolano ricostruzioni differenti. Alcune fonti hanno contraddetto la versione della polizia, quella di una liberazione frutto della caccia degli agenti, e ipotizzato il pagamento di un riscatto. Di certo, l’arcivescovo è una figura di primo piano della Chiesa anglicana in Nigeria ma non il primo personaggio di spicco a finire nel mirino della bande del Delta. L’anno scorso era stata rapita la madre del ministro delle Finanze Ngozi Okonjo-Iweala, pure rilasciata dopo alcuni giorni in circostanze poco chiare e senza che fossero chiarite le motivazioni del sequestro.

Secondo Ofehe, direttore della rivista specializzata Inside Niger Delta, “i sequestri sono un affare molto lucroso e una possibilità di guadagno attraente per tanti giovani che non hanno né lavoro né prospettive di inserimento professionale”. Lo sfondo è quello di una regione che garantisce il 90% della produzione di greggio della Nigeria, l’ottava potenza petrolifera del mondo; ma dove contadini e pescatori restano tagliati fuori dai proventi della vendita degli idrocarburi e pagano anzi le conseguenze di inquinamento e disastri ambientali. Nel 2009, nel tentativo di contrastare il Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger (Mend) e degli altri gruppi ribelli che chiedevano una più equa distribuzione dei proventi del petrolio, il governo aveva avviato un programma di amnistia a beneficio dei militanti disposti a deporre le armi. Secondo Ofehe, però, questa iniziativa non si è accompagnata al rispetto delle promesse di sviluppo economico e sociale sul medio e lungo periodo.

Non avrebbe risolto i problemi nemmeno l’elezione nel 2011 di Goodluck Jonathan, il primo presidente originario del Delta. “Jonathan – sottolinea l’esperto – si sta limitando a pagare stipendi a migliaia di militanti affinché sospendano la lotta armata e lascino lavorare le multinazionali del petrolio”. Una linea di breve respiro, sembra di capire, che rischia di saltare non appena finiranno i fondi messi a disposizione nell’ambito del programma di amnistia avviato nel 2009. “Il timore – sottolinea Ofehe – è che ci si possa ritrovare con una situazione esplosiva nel 2014-2015, alla vigilia delle elezioni, nel Delta e non solo tradizionalmente il momento più propizio per i tentativi di strumentalizzazione dei giovani da parte dei leader politici”.

Secondo l’esperto, dunque, l’eclissi del Mend e il drastico ridursi degli attentati a oleodotti e installazioni petrolifere non hanno risolto i problemi. “Eni, Chevron, Rayal Dutch Shell e le altre multinazionali che pompano il greggio – dice Ofehe – continuano a negare spazio ai giovani del Delta, sostenendo di non averne bisogno”. – Misna

 

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