24/09/13 – Africa – La minaccia di al Shabaab, esportare la guerra in Kenya (intervista)

di AFRICA

 

“Fino a quando la Somalia non sarà davvero pacificata la minaccia degli attacchi e di azioni come quella al Westgate di Nairobi aleggeranno su tutta l’Africa orientale. Il contesto del conflitto nel Corno d’Africa, in cui Al Shabaab è maturato e si è rafforzato, è stato sottovalutato per troppo tempo”: ne è convinto Matteo Guglielmo, ricercatore in Studi africani all’Università Orientale di Napoli ed esperto di Somalia e Corno d’Africa, intervistato dalla MISNA sull’aggressione tuttora in corso nel centro commerciale della capitale keniana.

L’attacco al mall di Westgate è un’azione spettacolare, che ha causato finora oltre 60 vittime. Prevederlo era impossibile?

“Era da tanto che si vociferava di una ‘vendetta’ di Al Shabaab per l’intervento keniano in Somalia e sicuramente il Westgate figura tra gli obiettivi sensibili della capitale. È un posto dove si va a fare shopping, ma anche ad incontrare amici e come altri mall è frequentato da keniani della media borghesia e stranieri che vivono a Nairobi. La mia impressione è che il Kenya non abbia tratto alcuna lezione dagli attentati del 1998 contro l’ambasciata americana e che si sia fatto cogliere completamente di sorpresa”.

Qual è a tuo avviso l’obiettivo ultimo degli assalitori?

“Credo che stiano cercando di spaccare la società keniana, all’interno della quale vive una folta comunità somala che, difatti, già teme ritorsioni da parte di quanti li accusano di aver ‘importato il conflitto somalo’ in territorio keniano. Non bisogna dimenticare, infatti, che il nord del Kenya ospita forse il più grande capo profughi al mondo, quello di Dadaab, dove nel corso di 20 anni di guerra civile centinaia di migliaia di civili somali hanno cercato riparo. Già alcune settimane fa il Kenya aveva avviato consultazioni con le autorità di Mogadiscio per affrontare il tema del rimpatrio di queste persone…. I militanti cercano di cavalcare il malcontento che questa situazione indubbiamente genera”.

E’ il caso di parlare di un gesto disperato di Al Shabaab, spaccato da lotte intestine e costretto in ritirata dall’offensiva di Amisom?

“L’azione di questi uomini tutto sembra fuorché un gesto dettato dalla disperazione: l’assalto era ben organizzato e il commando pesantemente armato. È evidente, inoltre, che avevano studiato il luogo e deciso come e quando agire. Al Shabaab inoltre ha mostrato – come molti movimenti dell’insurrezione armata – una spiccata capacità ad adattarsi alle esigenze del momento. Quando l’offensiva di Amisom si è fatta temibile, i miliziani hanno progressivamente abbandonato le città senza ingaggiare grandi battaglie armate, che sapevano non avrebbero avuto molte probabilità di vincere, e si sono rintanati nelle zona rurali. Da allora le strategia di guerriglia, attentati e attacchi lampo sono diventati il loro terreno di combattimento. È anche vero che dal punto di vista dell’immagine, il gruppo ha subito duri colpi e l’attacco al Westgate, certamente voluto dal nuovo capofila del movimento Ahmed Abdi Godane, è un tentativo di ridare smalto alla causa e dimostrare il rafforzamento della propria leadership”.

Quali rischi per il futuro e cosa cambia a livello regionale?

“Gli esperti militari hanno già confermato che l’impegno in Somalia, da parte del governo di Nairobi, non cambia. Il timore è per i mesi a venire: se il Kenya cominciasse a perdere gli introiti del turismo a causa dell’insicurezza, l’economia rischierebbe di vacillare con ricadute immediate sulla stabilità del paese. Non bisogna dimenticare che il Kenya è ancora alle prese con un delicato e lungo percorso di risalita, dopo le violenze post-elettorali del 2007-2008. Coloro che in questo momento vogliono destabilizzare il Kenya hanno in mente una strategia regionale che punta a coinvolgere altri paesi dell’Africa Orientale nel grande pantano somalo”.

Che ruolo svolge la Somalia e il nuovo governo somalo?

“Nonostante le dichiarazioni ufficiali il governo federale somalo è in grado di controllare pochi quartieri di Mogadiscio e altre aree, perlopiù grazie alla presenza di truppe straniere. Il resto è ancora terreno di scontri con i gruppi armati e i miliziani estremisti. Fino a quando a Mogadiscio il processo politico resterà insoluto e sul terreno continuerà a dominare l’insicurezza, la guerra non può dirsi vinta”. – Misna

 

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