Nella regione orientale della Repubblica Democratica del Congo, un gesuita belga da oltre 25 anni combatte contro il contrabbando dei diamanti, la causa principale del conflitto tra l’esercito di Kinshasa e i ribelli sostenuti dal Ruanda e punta il dito contro le normative internazionali che oggi cercano di regolare il commercio dei minerali ”insanguinati”, mettendone in evidenza i limiti. ”E’ necessario – ha detto padre Didier de Failly, intervistato dalla rivista dei gesuiti Popoli – che il denaro proveniente dalla vendita delle risorse minerarie torni alla gente, per migliorarne le condizioni di vita. La societa’ civile del Sud Kivu si sta professionalizzando nei suoi interventi, va sostenuta e incoraggiata, ma non e’ semplice acquisire competenza nel settore dell’estrazione artigianale dei minerali”. La maggior parte degli studi disponibili oggi partono dal presupposto che in Congo esista una catena mineraria industriale e non artigianale. E’ questo uno dei maggiori problemi evidenziati dal gesuita. ”In un contesto simile – osserva – garantire la tracciabilita’ non e’ affatto semplice, ne’ e’ semplice verificare la filiera o evitare imbrogli, se il tutto consiste solo nell’apporre un’etichetta sul sacco di coltan, tungsteno o cassiterite. Alterare o sostituire un cartellino e’ un gioco da ragazzi. Inoltre, non essendoci concorrenza (sono ancora in pochi a etichettare i minerali), il prezzo della materia prima resta basso. A rimetterci sono quindi i lavoratori. Lo Stato congolese poi non fa il suo lavoro. E’ incapace di proteggere i cittadini e cosi’ regna l’impunita”’. Per questo motivo, uno degli obiettivi per cui padre Didier si sta battendo e’ riuscire a imporre l’etichettatura elettronica: ”Vorremmo avviare un sistema piu’ sicuro, con un sensore in ogni sacco per seguirne l’itinerario. Questo ovvierebbe alla difficolta’ di verificare se le etichette corrispondono davvero ai Paesi di produzione”. Le attivita’ di padre de Failly minacciano diversi interessi. ”Il mio nome e il mio luogo di lavoro sono stati citati piu’ volte alla radio ruandese – ha raccontato ancora Popoli – mettendomi cosi’ in pericolo”. Asca