A due settimane da pesanti scontri tra milizie di autodifesa locali ed ex-ribelli, da Bouar (ovest) è giunta la notizia mai diffusa prima del massacro di 18 persone, donne e bambini, uccise sommariamente nella loro casa. Per l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, quanto accaduto lo scorso 26 ottobre in un villaggio alle porte di Bouar, 400 km a nord di Bangui, è “emblematico del grado di violenza che prevale in Centrafrica” ma soprattutto della “mancanza assoluta di considerazione per la vita umana da parte dei combattenti, in questo caso individui sospettati di essere ex ribelli della Seleka”. Navi Pillay ha chiesto al governo di Bangui l’apertura immediata di un’inchiesta “trasparente e indipendente” per fare piena luce su “queste informazioni rivoltanti”. In base alla ricostruzione dei fatti circolata sui media locali, due uomini armati identificati come esponenti dell’ex ribellione Seleka sono entrati in un’abitazione sospetata di essere un nascondiglio delle milizie anti-balakas (anti-machete) e hanno aperto il fuoco indiscriminatamente senza procedere ad alcuna verifica. La testimonianza è stata rilasciata da alcuni dei 12 sopravvissuti, tutti feriti nell’attacco e curati all’ospedale di Bouar.
A sette mesi dal colpo di stato della Seleka, che ha destituito l’ex presidente François Bozizé, portando al potere Michel Djotodia, il Centrafrica vive ancora nell’insicurezza diffusa. Dopo aver espresso preoccupazione per “l’esacerbarsi di tensioni tra comunità e il manifestarsi di divisioni su basi religiose”, l’Alto commissario Onu ha avvertito che “c’è un rischio concreto che il ciclo di attacchi e rappresaglie violente facciano precipitare il paese in un nuovo conflitto”. Per la Pillay “l’escalation di odio e violenze va fermata prima che vada fuori controllo e destabilizzi tutto il paese”. Al di là dei fatti di Bouar, l’Onu sta indagando sulla zona di Bossangoa (ovest), già teatro di attacchi e scontri che hanno costretto alla fuga almeno 30.000 persone, accolte nella missione cattolica locale, oltre ad aver raso al suolo decine di villaggi e decimato capi di bestiame. Anche la popolazione di Bangui, la capitale, è vittima di gravi violazioni dei diritti umani che vanno dall’arresto illegale alle torture nei luoghi di detenzione segreti.
Oltre ad aver già provocato 3500 morti civili e 1,6 milioni di sfollati dallo scorso dicembre, in base ai bilanci delle organizzazioni locali della società civile, la crisi in atto in Centrafrica sta minacciando più di 1,1 milione di abitanti che patiscono la fame. Per il Programma alimentare mondiale (Pam) le regioni dove la situazione alimentare è la più critica sono quelle di Ouham, Ouham Pende e Nana Gribiz (nord), ma anche Vakaga e Bamingui-Bangoran a nordovest. Il quadro potrebbe ulteriormente deteriorarsi: a causa dell’insicurezza la maggior parte degli agricoltori non ha seminato e le attività economiche sono drasticamente rallentate.
Proprio oggi a Bangui è in corso la terza riunione del Gruppo di contatto per il Centrafrica in presenza dei presidenti del Ciad, Idriss Deby Itno e del Congo, Denis Sassou Nguesso oltre che di una quarantina di rappresentanti di paesi stranieri e di organismi internazionali impegnati nel processo di uscita dalla crisi. – Misna