Cacciato Blaise Compaoré nel 2014, sventato un tentativo di golpe a settembre, questo fine settimana i burkinabè hanno potuto finalmente recarsi alle urne per eleggere i propri rappresentanti. Le elezioni sono certamente un trionfo della democrazia e sfatano il mito che in Africa la popolazione si assuefatta ai sistemi dittatoriali o, quanto meno, ai Presidenti di lungo corso. Quindi l’evento va salutato come una svolta positiva. Fatta questa premessa, va però detto che Roch Marc Christian Kaboré, il nuovo capo di Stato burkinabè non è un uomo nuovo sulla scena politica di Ouagadougu.
Banchiere di formazione, 58 anni, è figlio di Charles Kaboré Bila, un ex ministro delle Finanze e della Salute (1963-1966). La sua carriera inizia a 27 anni quando, alla Presidenza c’è ancora Thomas Sankara, Kaboré viene nominato amministratore delegato della Banque internationale du Burkina (1983), una delle principali istituzioni finanziarie del Paese. Con la morte di Sankara, la sua carriera però non si ferma. Anzi, sembra imprimere un’accelerata. Blaise Compaoré ha fiducia in lui e lo nomina più volte ministro. Nel 1994, in piena svalutazione del franco Cfa, Compaoré decide addirittura di nominarlo primo ministro e poi, nel 2002, Presidente dell’Assemblea Nazionale. La fiducia in lui è talmente grande che, per più di dieci anni, è il responsabile nazionale del partito presidenziale, il Congresso per la Democrazia e il Progresso (Cdp).
Nel 2014, però, il rapporto con il Presidente si incrina. Insieme ad altri due pilastri della Cdp, Simon Compaoré e Salif Diallo, si dimette, inviando a Compaoré una lettera aperta in cui denuncia la «militarizzazione» del partito. Pochi giorni dopo, danno le dimissioni dal Cdp altri
72 esponenti di primo piano. Insieme danno vita al Mouvement du peuple pour le progrès (Mpp) di cui Kaboré prende la guida. Alle elezioni, si presenta come un uomo moderato in grado di portare avanti il Paese senza scossoni.
In Burkina Faso ha quindi vinto un vecchio arnese della politica. Anche se la voglia di democrazia dimostrata dai burkinabè fa sperare che il Presidente non si trasformi in un altro dei tanti dinosauri della politica africana.