L’hanno chiamata «la Nato araba». È la coalizione creata dall’Arabia Saudita per combattere il terrorismo. Di essa fanno parte 34 Paesi, la maggior parte africani. Oltre all’Arabia Saudita, ai Paesi del Golfo e ad alcuni Stati islamici asiatici, daranno infatti un proprio contributo all’«alleanza militare islamica»: Benin, Ciad, Comore, Costa d’Avorio, Egitto, Gibuti, Gabon, Guinea, Libia, Mali, Mauritania, Marocco, Niger, Nigeria, Senegal, Sudan, Sierra Leone, Somalia, Togo, Tunisia.
Come annunciato dal ministro saudita della Difesa, Mohammed bin Salman, e dal re, Salman bin Abdulaziz Al Saud, la coalizione agirà sia in campo civile, fornendo supporto ai corridoi umanitari, sia sul piano militare, con missioni, che sono già in corso di preparazione, in Iraq, Siria, Afghanistan ed Egitto. La nuova alleanza però, non avrà soltanto Daesh nel mirino ma «combatterà contro qualunque gruppo terroristico che ci troveremo di fronte». Nell’annuncio i due leader sauditi hanno precisato che la coalizione ha «il dovere di proteggere la nazione islamica dai mali di tutti i gruppi terroristici a prescindere dalla loro affiliazione o dal loro nome» e hanno quindi precisato di avere come obbiettivo «tutti coloro che mirano a terrorizzare gli innocenti». Il quartier generale di tutte le operazioni sarà Riad, la capitale dell’Arabia Saudita. Ed è previsto, secondo quanto riporta l’agenzia Ansa, «un coordinamento internazionale con le maggiori potenze e le organizzazioni internazionali».
Per i Paesi africani l’adesione è certamente un modo per reagire alla sempre più forte minaccia del terrorismo islamico. Si pensi alla presenza sul continente di formazioni quali la nigeriana Boko Haram (che da mesi ormai ha aderito allo Stato islamico), la somala al Shabaab (che in parte risponde ancora ad al Qaeda e in parte allo Stato islamico), ma anche alle formazioni jihadiste in Mali e in Niger. Senza contare la Libia nella quale il califfo al Baghdadi sta cercando di riposizionare la sua organizzazione dopo l’offensiva occidentale e russa in Siria e Iraq. Non bisogna nascondersi che dietro all’adesione di molti Paesi ci possono essere anche motivi finanziari. Uno stretto rapporto con i Paesi del Golfo potrebbe significare l’arrivo di cospicui fondi. Una manna per le disastrate casse dei Paesi africani.