A quasi sei anni dalla sua morte si apre oggi a Roma il processo ai presunti sequestratori e assassini di Giulio Regeni. Gli imputati sono quattro agenti di sicurezza egiziani accusati di aver sequestrato e ucciso il ricercatore ventottenne, che saranno però giudicati in loro assenza dalla corte d’assise nell’aula bunker di Rebibbia. Si tratta del generale Sabir Tariq, i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif. Le autorità egiziane, che hanno sempre rifiutato di collaborare con quelle italiane, non hanno mai comunicato i recapiti degli agenti per permettere la trasmissione degli atti di accusa.
I giudici dovranno valutare se la sottrazione degli imputati dal procedimento è stata volontaria. Se così fosse il processo potrà andare avanti con i quattro in contumacia, altrimenti il potrebbe essere sospeso. Gli imputati sono tutti accusati di sequestro di persona pluriaggravato, e a Abdelal Sharif la procura di Roma contesta anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
La presidenza del consiglio italiana ha deciso di costituirsi parte civile al fianco della famiglia Regeni che chiede però che siano chiamati a testimoniare i quattro premier che si sono susseguiti in questi anni. L’avvocato Ballerini, che assiste i genitori di Giulio ha inoltre annunciato l’intenzione di chiamare a deporre anche il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, mentre sui giornali egiziani il processo continua a non fare notizia.
Giulio Regeni, dottorando all’Università di Cambridge, scomparve il 25 gennaio del 2016 al Cairo, dove si trovava per scrivere una tesi sui sindacati della capitale egiziana. Il corpo del giovane venne ritrovato il successivo 3 febbraio lungo una strada periferica della città che porta ad Alessandria, con evidenti segni di tortura.
L’indagine, partita subito dopo il ritrovamento si è dovuta scontrare prima con i tentativi di depistaggio e poi contro il muro di silenzio delle autorità egiziane intorno alla vicenda. La svolta è arrivata il 4 dicembre 2018 con l’iscrizione nel registro degli indagati degli agenti di sicurezza, dopo la testimonianza di un altro dipendente della National security che disse di avere visto il ricercatore ammanettato. A questo racconto se ne sono via via aggiunti altri e questi testimoni saranno chiamati tutti a parlare al processo.