Cavallette, grilli e bruchi sono ingredienti comuni nelle cucine di molti paesi africani. Gli esperti dell’Onu vorrebbero incoraggiarne il consumo: «Fanno bene alla salute e all’ambiente: sono il cibo del futuro».
Brodo di formiche, frullato di lombrichi, stufato di bacherozzi, crespelle di coleotteri. Il proverbio “paese che vai, usanza che trovi” è più che mai appropriato quando si esplorano le tradizioni culinarie dell’Africa. In Congo i vermi della foresta insaporiscono la polenta di manioca. In Uganda le locuste “senene” vengono consumate fritte e speziate. In Camerun e Angola i grilli finiscono in padella con cipolle e peperoncino. Nella Repubblica Centrafricana i vermi arrostiti sono un prelibato piatto popolare. Con buona pace dei palati fini (e schizzinosi), in larga parte del continente le popolazioni si sfamano regolarmente con insetti e altre bestioline.
Si tratta di pietanze economiche, spesso molto gustose, di certo nutrienti e salutari. A certificarlo sono gli esperti della Fao che vorrebbero incoraggiarne il consumo. «Il consumo tradizionale di carne è un problema», spiega il professor Arnold van Huis, etnomologo olandese, consulente dell’organismo delle Nazioni Unite che si occupa di cibo e agricoltura. «Nel 2050 la popolazione mondiale arriverà a nove miliardi di abitanti e il fabbisogno di proteine crescerà del 70%: non ci sarà cibo per tutti».
Menù intelligente
Già oggi quasi due terzi dei terreni agricoli sono destinati all’allevamento di bovini, suini e pollame: è impensabile aumentare questa superficie senza sacrificare le coltivazioni e compromettere l’ambiente. Secondo gli studiosi della Fao, la carne diventerà un lusso per pochi e la popolazione più povera dovrà cambiare abitudini alimentari per continuare a sfamarsi.
Quest’anno i massimi studiosi del settore si raduneranno per un convegno internazionale dal titolo inequivocabile: “Gli insetti, il cibo del futuro”. «Sono una valida alternativa al consumo della carne tradizionale», assicurano i ricercatori dell’Università di Wageningen, nei Paesi Bassi, che da cinque anni studiano alcune delle 1400 specie di insetti commestibili. «Il loro allevamento ha un impatto minimo sull’ambiente. Per produrre un chilogrammo di proteine degli insetti serve una superficie dieci volte inferiore rispetto alla creazione di un chilo di proteine del bestiame. Inoltre si generano molti meno gas serra e sostanze inquinanti. Si risparmiano acqua e denaro. Infine si abbassano i rischi sanitari».
Basta pregiudizi
L’ostacolo più grosso all’introduzione degli insetti nella dieta quotidiana è culturale. Nella società occidentale la sola idea di cibarsi di grilli e larve genera disgusto. Ma già oggi nell’80% dei paesi del mondo si mangiano gli insetti senza scrupoli. Nel Sud-Est asiatico la gente si nutre addirittura di scorpioni, blatte e farfalle. «Offrono lo stesso valore nutrizionale della bistecca, garantiscono il giusto apporto di proteine e sono facilmente digeribili», assicura l’esperta nutrizionista Morgaine Gaye, che avverte: «Se vogliamo un’alimentazione sana e sostenibile dobbiamo recuperare le antiche abitudini gastronomie dei popoli indigeni». Come i vermi abbrustoliti dei Boscimani o gli spiedini di cavallette dei Pigmei. A noi occidentali suonano indigesti, ma chi li ha provati assicura che si tratta di raffinate prelibatezze. Questione di gusti o di abitudini?