Esattamente un anno fa, veniva trovato morto in Rwanda il cantante gospel Kizito Mihigo. Era stato arrestato quattro giorni prima, mentre tentava di lasciare il Paese e raggiungere il Burundi. Le autorità si sono affrettate a chiudere il caso rubricandolo come un suicidio. Ma questa versione non ha mai convinto gli attivisti e gli osservatori esterni. Mihigo, sopravvissuto al genocidio, era un fautore della riconciliazione. Dal 2014 al 2018 aveva trascorso più di quattro anni in prigione, accusato di aver cospirato contro il governo. In particolare: in una delle sue canzoni aveva evocato i crimini commessi dai soldati del Fronte patriottico ruandese.
Lewis Mudge, direttore di Human Rights Watch per l’Africa Centrale, denuncia le ambiguità di Kigali: «Non hanno condotto un’indagine indipendente. Molto semplicemente, hanno annunciato: era un po ‘triste e purtroppo si è suicidato. E per noi non è un’indagine credibile. Kizito è stato minacciato direttamente dalle autorità. Io stesso, avevo parlato con lui qualche giorno prima che decidesse di provare a lasciare il Paese, ancora una volta mi aveva raccontato di come fosse stato minacciato. Ha parlato con diverse persone, me ad esempio, del rischio di lasciare il Paese, ma anche delle conseguenze. E ha detto più e più volte, sono sempre pronto a tornare in prigione, sono in prigione qui a Kigali, ma se mi beccano al confine, mi metteranno di nuovo in prigione».