Restare per fornire comunque un aiuto umanitario? O andarsene in aperta protesta contro le decisioni delle autorità politiche? Le organizzazioni internazionali e le ong si stanno dividendo sulla decisione se restare nelle isole greche per sostenere i centinaia di migranti fuggiti da situazioni drammatiche nei loro Paesi oppure abbandonare ogni progetto umanitario in polemica contro le autorità. Non è semplice prendere una decisione in merito: chi resta può essere considerato complice di decisioni politiche discutibili; chi se ne va rischia di essere accusato di insensibilità. Ma che cosa prevede l’accordo Ue-Turchia che ha scatenato tanta indignazione?
L’intesa prevede che i migranti irregolari che sono arrivati in Gracia dalla Turchia siano riportati in Turchia. «Per ogni siriano rimpatriato in Turchia dalle isole greche – è scritto nel testo firmato da Bruxelles e Ankara – un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia all’Ue tenendo conto dei criteri di vulnerabilità delle Nazioni unite». La Turchia si è poi impegnata ad adottare «qualsiasi misura necessaria per evitare nuove rotte marittime o terrestri».
«L’accordo con la Turchia – ha dichiarato Loris De Filippi, Presidente di Msf Italia – dimostra ancora una volta come i leader europei abbiano perso completamente il contatto con la realtà. Il cinismo di questo accordo è evidente: per ogni siriano che, dopo aver rischiato la vita in mare sarà respinto in Gracia, un altro siriano avrà la possibilità di raggiungere l’Europa dalla Turchia. L’applicazione di questo principio di porte girevoli riduce le persone a semplici numeri, negando loro un trattamento umano e il diritto di cercare protezione».
Per questo motivo, Msf ha deciso di chiudere le proprie attività sulle isole greche. «Abbiamo deciso di chiudere le nostre attività – ha spiegato a “Il Fatto quotidiano” Michele Telaro, a capo del progetto di Lesbo – perché continuare a lavorare lì ci renderebbe complici di un sistema che riteniamo iniquo e disumano. Non permetteremo che la nostra azione di assistenza sia strumentalizzata a vantaggio di un’operazione di espulsione di massa e ci rifiutiamo di essere parte di un sistema che non ha alcun riguardo per i bisogni umanitari e di protezione di richiedenti asilo».
Anche Save the Children ha sospeso parte delle attività di supporto ai servizi di base a Lesbo, Chios, Samos, Los e Leros. Ma non si ritirerà del tutto. «Manterremo – è scritto in un comunicato – la distribuzione di cibo in collaborazione con Oxfam, ma esclusivamente nel campo di Kara Tepe, che è gestita dall’amministrazione locale e rimane una struttura aperta, così come manterremo alcune attività di protezione dei minori in tutti i centri chiusi, perché siamo molto preoccupati dalle condizioni di vita dei bambini che vivono al loro interno».
Stesso atteggiamento da parte dell’Acnur (agenzia Onu per i rifugiati) che, pur sospendendo, alcune attività nei centri che vengono considerati come luoghi di detenzione, manterrà una presenza «per effettuare per garantire che i diritti dei rifugiati e gli standard umanitari vengano rispettati e per fornire informazioni sui diritti e le procedure per chiedere asilo». Il personale dell’Acnur continuerà inoltre a essere presente nei porti e in mare per fornire quell’assistenza che può salvare vite umane (compreso il trasporto agli ospedali).
Rimanere o restare sono entrambe scelte difficili. In gioco non c’è solo l’adesione o meno a politiche europee, ma anche la salvaguardia della dignità di migliaia di migranti.