Il Kenya e il continente africano hanno perso uno scrittore e attivista di importanza mondiale per i diritti dei gay e una figura chiave per la comunità artistica: Binyavanga Wainaina. Morto ieri a Nairobi a soli 48 anni all’Aga Khan University Hospital di Nairobi, sieropositivo dichiarato dal 2016.
Dopo l’annuncio della sua morte da parte del suo amico, Tom Maliti, presidente del Kwani Trust fondato dallo stesso Wainaina, sui social in poche ore sono stati postati migliaia di messaggi di cordoglio da fan e amici che lo hanno omaggiato citando frasi delle sue opere. Per molti, l’autore portabandiera dei diritti della comunità Lgbt non ha vinto la sua battaglia contro l’aids ma quella contro i pregiudizi che esistono in molti Paesi africani nei confronti della comunità omosessuale.
Wainaina, nato a Nakuru nel 1971, con coraggio aveva fatto outing nel gennaio 2014, uno dei pochi in Africa. Non era elogiato soltanto per la sua lotta accanita in difesa delle persone Lgbt, veniva infatti riconosciuto come un gigante della letteratura contemporanea africana e ha vinto diversi premi letterari prestigiosi, tra cui il Caine Prize for African Writing per la letteratura africana nel 2002.
Fondatore di Kwani?, rivista con sede a Nairobi, è diventato famoso all’estero per il suo articolo satirico di successo intitolato “Come scrivere d”Africa”. Sul suo seguitissimo blog africasacountry.com si raccontava in prima persona: la famiglia, l’omosessualità, la vita quotidiana e le battaglie. Tra le pagine più salienti del suo diario online, quella sul suo outing, la malattia, l’amore per il suo compagno e l’aggressione razzista subita due anni fa a Berlino da parte di un tassista.
È stato autore dell’acclamato memoir Un giorno scriverò di questo posto (edito da 66thand2nd nel 2013), e nel 2014 Wainaina fu incluso nella lista del Time Magazine dei 40 uomini più influenti del pianeta. «Quell’anno, in seguito all’approvazione di leggi restrittive sull’omosessualità in Uganda – Paese natale di sua madre – e in Nigeria, decise di rendere nota la sua omosessualità in modo indimenticabile e commovente. “I am homosexual, mum” è il capitolo mancante del suo memoir, quello in cui Binyavanga immagina di raccontare alla madre (scomparsa da poco) di essere omosessuale. Il pezzo ha suscitato reazioni in tutto il continente e travalicato i confini dell’Africa, facendo di Binyavanga uno dei più inusitati e al contempo autorevoli attivisti del mondo gay africano e mondiale», come ha ricordato la casa editrice indipendente 66thand2nd in un comunicato ieri.
La morte di Wainaina arriva a pochi giorni da una attesissima sentenza per tutta la comunità Lgbt. Venerdì la corte di Nairobi dovrà decidere se abolire le leggi che criminalizzano il comportamento omosessuale.
Secondo quanto denunciato da Amnesty International lo scorso anno, l’omosessualità è illegale in 33 dei 54 Stati africani ed è punibile con la morte in Mauritania, Somalia, Sudan e nel Nord della Nigeria. Inoltre, come riporta la International Lesbian and Gay Association, le misure contro gli Lgbt, che risalgono a leggi di epoca coloniale o ad interpretazioni giuridiche a difesa del “buon costume” o della pubblica morale, sono state inasprite negli ultimi cinque anni.
Occorre anche ammettere che l’opinione pubblica africana accetta e sostiene le norme discriminatorie e le pratiche anti-Lgbt dei governi. Una ricerca condotta dal PewResearch Center di Washington rivela che il 98% dei nigeriani, il 96% dei cittadini di Senegal, Ghana e Uganda, e il 90% dei keniani è convinto che la società non debba accettare l’omosessualità bensì combatterla.