Adua, di Igiaba Scego

di AFRICA
Adua, di Igiaba Scego

 

Adua, di Igiaba Scego«L’ho capito che metti in dubbio il mio essere stato un patriota e un nazionalista». Eppure Mohamed Ali detto Zoppe, somalo, conoscitore di «tutte le lingue dell’Africa orientale», designato per fare l’interprete nell’Italia fascista che si preparava alla guerra d’Etiopia, aveva chiamato sua figlia Adua: il nome della «prima vittoria africana contro l’imperialismo», il nome della città presso cui l’Italia aveva subito, nel 1896, la grande «onta» militare che adesso Mussolini intendeva «lavare»… Come puoi dubitare, Adua, figlia mia?…

E Adua oggi racconta, a Roma dove vive dagli anni Settanta, di quando vi sbarcò dal suo Paese con il sogno di diventare una novella Marilyn, o Kim Novak, tramutatosi nell’«infamia» di una pellicola a luci rosse. Adesso, ultracinquantenne e moglie “di comodo” (ma non solo…) di un giovane uomo – “Titanic” – sbarcato a Lampedusa, medita sul rientro in Somalia, in un momento che ad altri connazionali della diaspora sembra favorevole.

Il romanzo è denso, sicuramente l’opera della maturità per Igiaba Scego, con piani temporali e spaziali che s’intersecano di continuo (i capitoli si alternano costantemente: “Adua” e “Zoppe”, con il breve intermezzo di una “Paternale”). Ci sono pagine crude, di razzismo violento o più soft, e anche le vicende della famiglia di Adua non sono oggetto di idealizzazione (non manca, tra l’altro, la rituale escissione e infibulazione). E fili narrativi che s’intrecciano per poi ritrovarsi. Soprattutto la voglia, in Adua, di essere finalmente protagonista della propria vita, di passare “dall’altra parte” della cinepresa (il cinema è importante, in questo libro, così come nella realtà è diventato importante per Igiaba l’interesse per il cinema italiano afrodiscendente).

In coda al romanzo, informazioni storiche, compresi alcuni anacronismi voluti, e qui rivelati, nonché “suggestioni” che hanno aiutato l’autrice a stendere la sua opera.

Giunti, 2014, pp. 185, € 13,00

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