di Enzo Nucci
Le ricchezze del continente fanno gola. Ora i leader africani promettono di arrestarne il saccheggio. Nel nuovo disordine mondiale – segnato da guerre laceranti e crescente instabilità – l’Africa è tornata a essere il tassello centrale del puzzle geopolitico. A differenza del passato, non è più disposta a subire gli eventi della storia: vuol essere padrona dei propri destini. Un libro firmato dal giornalista Enzo Nucci aiuta a capire cosa stia accadendo al di là del Mediterraneo.
S’intitola Africa contesa il libro (Infinito Edizioni, 2024, pp. 101, € 14,00) firmato dal giornalista Enzo Nucci, che per sedici anni ha ricoperto il ruolo di corrispondente della Rai da Nairobi. È un saggio di grande attualità e utilità, impreziosito dalla prefazione di Pietro Veronese, che punta i riflettori sulle dinamiche geopolitiche e gli appetiti internazionali suscitati dal continente – ricco di risorse strategiche per il futuro – nonché sulla risposta africana all’assalto delle superpotenze. Ne pubblichiamo un’anticipazione. Il resto, imperdibile, lo trovate in libreria o nei negozi online.
«L’Africa ha il mondo intero nella sua sala d’attesa». Questa lapidaria riflessione è opera di Antoine Glaser, giornalista di France24, che ben ritrae la folla di potenze straniere che si accalca alla ricerca di nuovi mercati e minerali preziosi, mirando all’allargamento delle proprie aree di influenza nel continente. Non solo nazioni dalla consolidata (e antica) attenzione come Stati Uniti, Cina e Russia oppure Stati parte dell’Unione Europea ma anche Paesi in crescita come India, Turchia, Brasile, Corea, Giappone, Qatar, Emirati Arabi Uniti.
L’Africa, però – o, meglio, i 54 Stati sovrani che vi appartengono, 48 dei quali subsahariani –, è consapevole che questo ricco e sgomitante parterre ha contribuito a tenerla sotto controllo fino a oggi grazie ad aiuti, attività di cooperazione, prestiti ed altre “interessate” misure che ne hanno bloccato il cammino. Una consapevolezza che ha radici lontane, a partire dal politico e storico burkinabé Joseph Ki-Zerbo (1922-2006), che metteva in guardia gli africani affermando: «Non si sviluppa un Paese, ci si sviluppa da soli».
Oggi comincia a prendere forma il dissenso, frammentato e frastagliato già al suo interno, alla ricerca di un fronte comune in grado di individuare forme politico-organizzative condivise per garantirsi un posto in prima fila laddove si decidono i destini del pianeta.
Rottura con l’Occidente
Una tendenza in atto da tempo ma che è deflagrata con prepotenza, assumendo in qualche modo vesti ufficiali, con l’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina. Il 2 marzo 2022, una settimana dopo l’inizio delle operazioni militari, e con analoghe modalità il 23 febbraio 2023, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite era convocata per votare una risoluzione per chiedere il ritiro delle truppe russe e la cessazione dei combattimenti. Un voto dalla forte valenza politica, anche se privo di qualsiasi vincolo giuridico e operativo, approvato a larga maggioranza da 141 nazioni (tra cui 28 africane), con sette contrari (tra cui, Eritrea e Mali). Mentre tra le 32 astensioni ben 15 provenivano da primarie potenze del continente […].
Numeri non di piccola entità ma, soprattutto, siamo al cospetto di grandi nazioni con forte influenza politica, depositarie di importanti ricchezze naturali e con potenzialità economico-commerciali di primario spessore. Forse sono proprio queste date che ufficialmente segnano la nascita del “multi allineamento”, un concetto che ha preso il posto del “non allineamento” usato in passato e che sta a indicare la volontà dei Paesi africani di emanciparsi rispetto alle alleanze tradizionali, contando sulle proprie risorse, sfruttando al meglio la geopolitica in evoluzione (compreso il conflitto tra israeliani e palestinesi) e la “frantumazione” degli equilibri mondiali su cui pesa «la terza guerra mondiale a pezzi», concetto caro a Papa Francesco.
Come ha fatto notare un commentatore della Bbc, la televisione pubblica inglese, il ricordo della guerra fredda è ancora vivo in Africa, dove la logica dei blocchi ha alimentato conflitti e arrestato lo sviluppo, e nessuno oggi è disposto a ripetere quegli errori. Per questo l’Occidente fatica a creare consenso intorno al conflitto ucraino, vissuto come una questione di pertinenza europea.
La questione palestinese
Poi, il 7 ottobre 2024, a questo contesto internazionale si è aggiunto l’attacco del movimento fondamentalista islamico Hamas a Israele a cui è seguita la feroce risposta del governo guidato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Lo sciame sismico si è diffuso velocemente e non solo lungo le coste africane che si affacciano sul Mar Rosso, dove è cominciato lo stillicidio dei ribelli yemeniti Houti ai danni delle navi cargo di passaggio nell’area. La missione omicida di Hamas si è rivelata un’iniezione di vitalità che ha ringalluzzito la miriade di gruppi di terroristici islamici. Gli al-Shabaab somali hanno infatti intensificato le azioni militari anche nel confinante Kenya, ritenuto da Stati Uniti ed Europa un imprescindibile baluardo contro il jihad, che seppur senza mezzi si sta facendo carico del compito con grande fatica. Mentre l’Egitto è concentrato su Gaza, destreggiandosi tra repressione delle proteste filopalestinesi e pressioni israelo-occidentali, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti lavorano alacremente per smantellare il fragile sistema di sicurezza africano, in primis in Sudan, dove si profila uno scenario “libico” a causa della durissima guerra civile.
In cerca di nuovi equilibri
Fuori dai denti lo ha ribadito con icastica chiarezza anche Moussa Fakhi Mahamat, presidente della Commissione dell’Unione Africana, al vertice di Roma del 29 gennaio 2024, organizzato dal governo italiano con 46 delegazioni in rappresentanza di altrettante nazioni. «Il continente africano vuole rapporti non allineati su un blocco unico, in cui nulla ci viene imposto», ha tuonato l’ex primo ministro del Ciad rivendicando la piena libertà di avere mani libere nell’intrattenere relazioni politiche, stringere alleanze e fare affari con tutte le potenze interessate. C’è infatti la piena contezza che i Grandi del mondo si interessano all’Africa solo per appagare le proprie necessità. «Oggi l’Africa è al centro di ogni tipo di desiderio economico e i discorsi sull’amicizia tra i popoli durante i grandi incontri internazionali servono solo a cullare il sonno degli africani, per sottrarre loro più facilmente le loro ricchezze. È per questo che in occasioni come il vertice di Roma il continente dovrebbe vendersi a caro prezzo», è lo sferzante commento del quotidiano Le Pays del Burkina Faso. È chiaro, dunque, che anche a queste latitudini è stata ampiamente digerita la lezione del generale francese Charles de Gaulle, che freddamente notava: «Gli Stati non hanno amici, hanno solo interessi».
Il ruolo dei Brics+
Dal primo gennaio ai Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si sono aggiunte cinque nuove nazioni: Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto ed Etiopia. Il nome è quindi cambiato in Brics+. Ci troviamo di fronte a un blocco economico che raccoglie una popolazione complessiva di tre miliardi e mezzo di persone, ovvero il 45 per cento degli abitanti del pianeta. Un blocco che può vantare uno zoccolo economico di 28,5 trilioni di dollari complessivi, il che significa quasi il 28 per cento del sistema mondiale. Senza sottovalutare che le dieci nazioni dei Brics+ producono il 44 per cento del petrolio mondiale. In particolare l’Africa possiede il 30 per cento delle risorse minerarie mondiali e il 60 per cento delle terre coltivabili inutilizzate a livello planetario. […]
L’organismo economico accusa i Paesi occidentali di essere i più grandi creatori di debito estero delle nazioni povere (e meno povere) attraverso i prestiti erogati dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario Internazionale. I Brics+ rivendicano una maggiore rappresentanza in queste organizzazioni multilaterali (così come nell’Onu) per acquisire un peso decisionale adeguato su questioni come transizione ecologica e finanza, con l’obiettivo di ridurre la loro dipendenza dal dollaro statunitense e favorire al proprio interno l’adozione di iniziative di reciproco sostegno. […]
In realtà dal 2009 (anno di fondazione del gruppo che riunisce le economie mondiali emergenti) i risultati concreti sono stati minori rispetto alle ambiziose aspettative. Restano fortemente radicate le divisioni interne che generano la mancanza di una visione realmente condivisa. Alcune economie (una volta in crescita) oggi vivono un forte rallentamento. La competizione è altissima: l’India punta a strappare la leadership del Sud Globale alla Cina, mentre il Brasile cerca di arginare l’allargamento compulsivo a nuovi ingressi sostenuto dalla Cina nel timore di perdere incisività nell’azione politica.
Nuovi investimenti e mercati
In Africa l’Unione Europea investirà 150 miliardi di euro, pari alla metà del Global Gateway, il piano strategico di investimenti varato per contrastare l’espansionismo cinese della nuova Via della seta del valore di mille miliardi di dollari. Ma nel continente c’è consapevolezza che l’attenzione è finalizzata al controllo delle materie prime piuttosto che allo sviluppo. […] Un’importante chance è offerta dal Trattato di libero commercio continentale africano (Afcfta) che ha istituito dal 2019 l’area di libero scambio e l’apertura delle frontiere tra tutte le nazioni, a eccezione dell’Eritrea, che non ha firmato. Gli obiettivi sono il superamento delle barriere doganali e la promozione dell’integrazione economica, monetaria e di sviluppo: un mercato che oggi riguarda poco meno di un miliardo e mezzo di persone con un prodotto interno lordo di 2.600 miliardi di dollari. In questo ricco scenario, gli interventi dei Brics sono benvenuti in particolare per la realizzazione di grandi infrastrutture. Il Brasile può diventare il grande alleato del continente. Il presidente Luiz Inácio Lula da Silva, anche alla guida del G20 nel 2024, condivide le posizioni dell’Unione Africana sulla riduzione del debito e non ha mai fatto mistero della necessità di procedere a una revisione strutturale del sistema finanziario globale per non penalizzare ulteriormente chi è rimasto indietro.
Il fardello del debito
La creazione di una corsia preferenziale con i Paesi del G20 è necessaria in vista del rinnovo dei titoli di debito in scadenza per oltre duecento miliardi di dollari. L’Africa si presenta all’appuntamento con una situazione complicata da un’inflazione media del 18 per cento nell’area subsahariana e dalla svalutazione delle monete locali del 20 per cento rispetto al dollaro mentre il debito estero è pari al 30 per cento del prodotto interno lordo. Non è da sottovalutare l’impatto politico del default dichiarato dall’Etiopia nel dicembre del 2023 e in precedenza dal Ghana, nel 2022, e dallo Zambia nel 2020, costretti a sospendere i pagamenti dei debiti esteri per la miscela esplosiva composta dal dollaro più forte e dal «più grande rialzo dei tassi di interesse degli ultimi quarant’anni», come spiega la Banca Mondiale. E nel 2024 la lista rischia di allungarsi: nove Paesi sono in grave sofferenza, quindici ad alto rischio e altri quattordici a rischio moderato. In questi casi la ristrutturazione del debito passa proprio attraverso la mediazione del G20.
La Russia (anche alla luce del conflitto in Ucraina) individua invece negli accresciuti Brics+ un efficace strumento da aggiungere alla cassetta degli attrezzi nel duro confronto con l’Occidente in particolare per aggirare le sanzioni imposte dopo l’invasione. E l’adesione dell’Iran potrebbe costituire un importante contributo per accentuare il carattere anti-occidentale dell’organismo economico. I Brics+ aspirano programmaticamente a diventare i portavoce del Sud del mondo, nonostante l’importante defezione dell’Argentina che ha ritirato l’adesione dopo il cambio di rotta politica imposto dal presidente Javier Milei, eletto nel novembre del 2023. Molti Paesi africani sono in lista d’attesa per entrare: Nigeria, Senegal, Algeria, Gabon, Repubblica Democratica del Congo, tra quelli che hanno fatto richiesta.
La copertina di Africa contesa (Infinito Edizioni, 2024, pp. 101, € 14,00), libro del giornalista Enzo Nucci, per sedici anni corrispondente della Rai da Nairobi
Questo articolo è uscito sul numero 4/2024 della rivista Africa. Clicca qui per acquistare una copia.