Africa, dove l’Italia combatte il terrorismo

di Enrico Casale

droni a gibutiA Bamako, capitale del Mali, un commando composto da quattro persone, ha assaltato ieri sera l’albergo Nord Sud che è la base di 600 militari dell’Eutm (European Union Training Mission), missione di addestramento dell’Unione europea per le forze di sicurezza locali. Un portavoce del ministero della Difesa ha confermato che sono stati esplosi alcuni colpi d’arma da fuoco. Un assalitore è morto e gli altri tre sono fuggiti. Nessuno dei militari «è stato ferito». In Mali, attualmente, sono 12 i militari italiani. Tre quelli presenti a Bamako: sono stati contattati dall’Italia e stanno tutti bene. Nessuno è rimasto coinvolto.

L’impegno militare italiano contro il fondamentalismo islamico è poco pubblicizzato. Eppure, gradualmente, si sta intensificando. Sono conosciute le missioni italiane in Afghanistan (dove manteniamo una base a Herat e un contingente a Kabul) e in Iraq (dove un piccolo contingente di nostri militari sta addestrando i curdi a combattere contro i miliziani dell’Isis), meno noto è l’impegno italiano in Africa.

In Mali, l’Italia partecipa alla missione Eutum dell’Unione europea. Nata nel 2012 per supportare l’addestramento e la riorganizzazione delle forze armate maliane per contrastare i gruppi terroristici e le milizie irregolari operanti nel Paese africano, l’operazione è diretta dalla Francia. L’Italia partecipa con un nucleo di istruttori dell’esercito che sono impegnati nell’addestramento della unità locali.

Poco nota è la missione, sempre nata in ambito europeo, in Somalia. Qui, a partire dal 2010, l’Unione europea ha prima addestrato le forze di sicurezza somale presso in Uganda e, poi, a Mogadiscio, nella base dell’aeroporto internazionale. Attualmente, la missione conta su un centinaio di militari europei, il 65% italiani.

Sempre in funzione di addestramento anti-terrorismo, l’Italia mantiene una base a Gibuti, il piccolo Paese che si affaccia sullo Stretto di Aden. Nella struttura operano una ottantina di militari italiani (appartenenti a marina, esercito e aviazione) che hanno il compito di formare i soldati e i marinai gibutini, ma anche di controllare le acque dello stretto. Fino al 2015, in questa base erano operativi alcuni droni italiani. Ufficialmente in funzione anti-pirateria, ma anche per controllare i movimenti sulle coste dei miliziani.

Infine, la Libia. Benché ufficialmente nessuna missione sia operativa nel Paese nordafricano, da fonti riservate si sa che piccoli nuclei delle forze speciali italiane operano nel deserto. Messe alle dipendenze dirette dei servizi segreti, questi militari dovrebbero eseguire azioni di sabotaggio, raccolta informazioni, ma anche di collegamento con le varie milizie «amiche» sul territorio. Questa azione dovrebbe favorire, in futuro, il dispiegamento di un contingente di pace più numeroso di militari italiani. Sempre ammesso che, come più volte ripetuto dal’Esecutivo italiano, nasca in Libia un Governo di unità nazionale e questo ci richieda esplicitamente un nostro intervento.

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