La voce dell’Unione Africana (Ua) si è unita al coro di reazioni alla nuova escalation di violenze tra israeliani e palestinesi. L’Ua ha ribadito il proprio sostegno al popolo palestinese nella legittima ricerca di uno Stato indipendente e sovrano con Gerusalemme Est come capitale. Lo ha fatto attraverso le parole del presidente della Commissione dell’Ua, il ciadiano Moussa Faki Mahamat, secondo cui le azioni dell’esercito israeliano, inclusi i continui sgomberi forzati di palestinesi dalle loro case a Gerusalemme Est, violano il diritto internazionale e aumentano ulteriormente le tensioni nella regione, complicando la ricerca di una soluzione giusta e duratura.
Gli ultimi sviluppi del lungo conflitto israelo-palestinese, che hanno portato a una ferma condanna della strategia israeliana da parte dell’Ua, ci conducono a ricordare come nacquero invece sotto buoni auspici i rapporti tra il neo Stato di Israele e le giovani nazioni indipendenti dell’Africa. Lo aveva spiegato alla nostra redazione qualche anno fa la professoressa Irit Back, capo del dipartimento Africa del Moshe Dayan Center, un centro di ricerca e di studi sul Medio Oriente e il continente africano, intervistata presso università di Tel Aviv .
“Nel primo periodo – spiegò l’esperta – si venne a creare un rapporto molto profondo. Nei primi anni ’60 la maggior parte dei Paesi africani ottennero l’indipendenza e con Israele si crearono rapporti di sostegno e di supporto. Noi israeliani avevamo buone conoscenze nei settori dell’agricoltura, del commercio e degli armamenti, che potemmo esportare in Africa”.
Ma il 1973 segnò una svolta. La guerra del Kippur determinò la rottura delle relazioni tra Israele e la maggior parte degli Stati africani. “Per questioni legate alla guerra in sé, a causa del coinvolgimento di alcuni Stati a fianco dell’Egitto e contro Israele, ma anche per questioni legate al petrolio: molti governi africani preferirono relazioni con i Paesi arabi per necessità di oro nero. Israele si sentì tradito, e ci volle molto tempo per ricostruire la fiducia”. Dagli anni ’90 in poi si sono riaperti alcuni canali e gradualmente sta riprendendo la collaborazione con l’Africa sub sahariana. Ad oggi esistono stretti partenariati ad esempio con Etiopia, Nigeria, Rwanda, Sud Sudan, Togo. Più recentemente anche con Paesi africani musulmani o membri della Lega Araba, con i quali si sono aperte vie di normalizzazione. È il caso del Marocco, con il quale esistono ora relazioni diplomatiche ufficiali, ma anche del Sudan, che lo scorso ottobre ha siglato un’intesa di normalizzazione dei rapporti con Israele. Ma se sulla carta, fino a poco tempo fa, i rapporti ufficiali non esistevano, non erano rari gli esempi di collaborazione informale. “Ad esempio negli Anni ’80 il Sudan ospitò gli ebrei etiopi in fuga dall’Etiopia e aiutò a condurli fino a Israele. Inoltre, siamo stati coinvolti nella guerra a fianco degli indipendentisti del Sud. Israele è stato uno dei primi a riconoscere il nuovo Stato, subito dopo l’indipendenza il 9 luglio 2011”, ricordava la professoressa Back.
Con l’Etiopia, esiste peraltro una connessione di carattere religioso. Sin dal IV secolo l’Etiopia è nota per avere una forte connotazione cristiana, in parte profondamente legata al giudaismo. Gli etiopi ebrei si considerano i veri discendenti del Re Salomone e della regina di Saba. “Si considerano persino i veri israeliani. Dopo un lungo dibattito, nel 1973, Israele li riconobbe come veri ebrei e decise di facilitare il loro trasferimento verso Israele”, spiega la ricercatrice. Ma il 1973 segnò anche la rottura delle relazioni formali anche con l’Etiopia. “Ma nonostante questo, nel 1991, con l’Operazione Salomone, quasi tutti gli ebrei di Etiopia furono trasferiti qui, in Israele”. Operazioni che sono riprese lo scorso anno con l’arrivo in Israele dei falashmura, ebrei che in passato si erano convertiti al cristianesimo, ma ritenuti comunque ebrei da Israele.
Molto stretti sono i rapporti tra Israele e il Rwanda. Oltre a una serie di accordi nei settori delle tecnologia e della sicurezza, negli scorsi anni, Kigali ha anche accettato di accogliere gruppi di immigrati africani espulsi da Gerusalemme. Quest’ultima intesa, molto controversa, è stata criticata dalle organizzazioni internazionali e dalle organizzazioni non governative, ma ha di fatto sancito le ottime relazioni tra i due Paesi.
Con il Sudafrica invece, le relazioni sono molto tese. “Israele è considerato – purtroppo – uno degli ultimi sostenitori del regime dell’apartheid. Al contrario, il defunto presidente Nelson Mandela fu uno strenuo difensore della causa palestinese”, ricordava Irit Back. Nel maggio 2018, l’ambasciatore sudafricano in Israele Sisa Ngombane era stato richiamato da Tel Aviv per alcuni mesi, in segno di protesta, dopo l’uccisione di 55 palestinesi da parte dell’esercito israeliano al confine di Gaza.
(Céline Camoin)