di Veronica Tedeschi
«Alors? Quel est ton nom?». Cercai di non sorridere quando Mohamed, serio e indispettito. mi intimò per la seconda volta di rispondere alla sua domanda: «Quel est ton nom? Madame, ton nom!». Voleva sapere il mio nome a tutti i costi Mohamed, 6 anni, alto 1 metro e un cecio, che agitava contro di me un rametto di baobab. Per poter passare da quella strada era necessario essere schedati da lui e dai suoi due scagnozzi. «Veronica – dissi tutto d’un fiato -, vorrei andare in spiaggia, la direzione è giusta?». Inaspettatamente mi sorrise, mi diede la mano e mi tirò verso di lui.
Agosto 2016, il mio primo viaggio in Africa, in Senegal; ogni cosa attirava la mia curiosità, feci a Mohamed un sacco di domande stupide «Che albero è quello? Come mai la sabbia è così rossa? Perché mi minacci con quel rametto in continuazione?». Attraversammo un bosco, poi sabbia, terra e, infine, catrame. Percorremmo una strada in costruzione con tanto di operai al lavoro, betoniere e puzzo di asfalto caldo. Su cinque operai, tre erano di origine asiatica e, come se stessi parlando con un mio coetaneo, iniziai a ragionare con Mohamed sul perché quei tre fossero proprio cinesi. Scoprii che la commessa di quel grosso lavoro era in mano ad un’azienda cinese che però aveva assunto anche operai senegalesi. Stavano costruendo una strada, l’unica asfaltata di Bene Baraque, oltre quella principale, che portava dritta al mare, come accade nelle migliori cittadine turistiche.
Peccato che Bene Baraque è un sobborgo della periferia di Dakar segnato da povertà e inondazioni, la cui popolazione vive prevalentemente di lavoro precario. Mohamed, nella sua innocenza, mi spiegò che, quando un tubab (bianco in woloof), va a lavorare in Senegal non viene mai lasciato solo: almeno un senegalese sta sempre con lui, per insegnare il lavoro e monitorare i risultati.
La Cina oggi è il secondo partner commerciale del Senegal dopo l’Ue. Il Paese asiatico, infatti, ha sempre attribuito grande importanza allo sviluppo di relazioni amichevoli con i Paesi dell’Africa nordoccidentale, unitamente alla promozione di scambi economici e umanitari. Capita spesso che la Cina sia accusata di presunto sequestro di terre africane ma è necessario porre l’attenzione sulle modalità di «approdo» cinesi che sono molto lontane da quelle dei colonizzatori europei. Vero è che se da un lato la Cina contribuisce allo sviluppo delle infrastrutture senegalesi, dall’altro annichilisce l’imprenditoria locale. Il nuovo presidente Macky Sall, inoltre, sull’onda del suo predecessore, sta rafforzando i rapporti con il continente asiatico e sta procedendo alla firma di alcuni accordi bilaterali.
Mi piacerebbe spiegare a Mohamed cosa significhi quel cinese su quel trattore ma l’illusione che sia un aiutante di un suo concittadino è bella e voglio credergli. Quindi gli domando «Ma viene da così lontano per lavorare qua, a Bene Baraque?». «Abbiamo tante risorse – risponde il bimbo alto 1 metro e un cecio -, la nostra terra così rossa non la trovi in Cina e neanche in Italia, ci scommetto». Ha ragione, Mohamed.