Secondo le agenzie umanitarie delle Nazioni unite negli ultimi cinque anni i prezzi dei generi alimentari in Africa occidentale sono generalmente aumentati tra il 20 e il 30%, con la siccità e i conflitti nella regione che hanno spinto milioni di persone ad abbandonare le proprie case e i terreni agricoli, cosa che ha di fatto bloccato la produzione alimentare in vaste aree, in particolare nell’area del Sahel. Una situazione di crisi che, con la chiusura delle frontiere a causa della pandemia, si è ulteriormente aggravata negli ultimi due anni a causa dell’interruzione delle catene di approvvigionamento. La guerra in Ucraina ha ulteriormente aggravato questa situazione.
Con il mese di Ramadan appena iniziato queste criticità stanno venendo fuori tutte insieme, anche perché tradizionalmente con il mese sacro dell’Islam sale la domanda e, di conseguenza, i prezzi: in Senegal la pressione sulle famiglie musulmane che fanno scorta di cibo e bevande per soddisfare le esigenze di comunità e famiglie allargate dal tramonto e per tutta la notte è particolarmente forte a causa della carenza di cibo. Astou Mandiang, un ambulante senegalese intervistato dall’agenzia Reuters, “al mercato c’è carenza di cibo e i prezzi sono aumentati vertiginosamente. Torniamo a casa senza sapere cosa cucinare”.
La maggior parte degli alimenti di base consumati in Senegal, come il riso, vengono importati ma le sanzioni economiche di Ecowas contro il vicino Mali, ad esempio, hanno aumentato il prezzo della carne bovina in Senegal e Gambia perché il bestiame maliano non può più essere venduto oltre confine. L’olio da cucina è il 50% più costoso. Il prezzo del riso è aumentato di circa il 10%.
Tale crisi si riflette anche sugli enti di beneficenza, che oltre ad affrontare il problema dell’aumento dei costi, e quindi della diminuzione della capacità di assistenza ai più bisognosi, devono anche fronteggiare il complesso problema dell’approvvigionamento.