Africa/Medio Oriente – Il petrolio e gli affari sporchi dell’Isis

di Enrico Casale
Petrolio dell'Isis

L’Isis controlla la maggior parte dei giacimenti petroliferi siriani e la vendita di greggio rappresenta la sua principale fonte di finanziamento. E’ quanto ha sottolineato il presidente russo Vladimir Putin, facendo oggi vedere ai colleghi del G20 le immagini scattate dallo spazio e dagli aerei delle colonne di autocisterne usate per il trasporto.
Secondo una recente inchiesta del Financial Times, lo Stato islamico guadagna ogni giorno 1,5 milioni di dollari dalla vendita del greggio estratto nei territori sotto il suo controllo. In particolare, nella provincia siriana orientale di Deyr az Zor, al confine con l’Iraq. Secondo testimoni locali, l’Isis controlla anche il giacimento di Qayyara, vicino alla città irachena di Mosul, da cui viene però estratto un tipo di greggio più ‘pesante’, usato soprattutto per la produzione di asfalto. Nella provincia centrale siriana di Homs, le forze lealiste e quelle del ‘Califfato’ combattono per il controllo del giacimento petrolifero di Jazal e per quello di gas di Shaer, più volte passati di mano e attualmente sotto il controllo dei governativi.
Il petrolio viene preso in consegna nei giacimenti da intermediatori che lo caricano su autocisterne per rivenderlo su mercati locali – il più importante è quello di Al Qaim, alla frontiera con l’Iraq – o alle raffinerie gestite direttamente dall’Isis o, per la maggior parte, da operatori locali che si spartiscono il ricavato con gli stessi jihadisti. Si tratta in gran parte di impianti rudimentali costruiti da privati dopo che quelli nelle mani dell’Isis erano stati distrutti dai raid aerei della Coalizione internazionale a guida americana. Ne viene ricavato carburante per autoveicoli o ‘mazout’, un tipo di gasolio utilizzato per alimentare i generatori di elettricità.
Secondo il Financial Times, la maggior parte del prodotto viene poi venduto negli stessi territori sotto il controllo dell’Isis, in Siria e in Iraq, o in quelli vicini nelle mani di gruppi ribelli nemici dello stesso Stato islamico.
L’esportazione all’estero, in particolare verso la Turchia, è invece notevolmente diminuita, soprattutto per il crollo del prezzo del greggio sui mercati mondiali che l’ha resa meno conveniente. Il traffico attraverso la frontiera, tuttavia, non è completamente cessato e continua soprattutto con il trasporto del prodotto in piccoli contenitori a dorso di mulo o di cavallo. In Iraq la maggior parte del contrabbando, che avveniva attraverso la regione curda, è stato bloccato, ma secondo testimoni locali una parte del prodotto prende la via della Giordania.
(17/11/2015 Fonte: AnsaMed)

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