Natale si avvicina e come ogni anno la cassetta della posta si riempie di lettere inviate da onlus, enti caritatevoli e fondazioni che invitano a metterci una mano sul cuore “per i bambini bisognosi” (dell’Africa, soprattutto). A toccare le corde dell’emotività sono spesso immagini di bimbi dallo sguardo lacrimevole che promuovono raccolte fondi per costruire scuole in Burundi, pozzi in Niger, ospedali in Etiopia… C’è da fidarsi?
Nel 2012 la Corte dei conti pubblicò una relazione dura sui «Contributi alle Organizzazioni non Governative per la realizzazione delle attività di cooperazione». Spulciando i documenti, i giudici trovarono di tutto: soldi deviati, progetti fermi, rendiconti scomparsi, responsabili fantasma, infrastrutture realizzate su terreni inesistenti… Una serie impressionante di disfunzioni e attività opache. L’anno dopo era una giornalista, Valentina Furlanetto, a denunciare la mancata trasparenza di molti organismi italiani nel suo libro L’industria della carità, in cui ricorda che «intorno agli aiuti umanitari e ai progetti di cooperazione si è sviluppata una vera e propria industria: la quinta nel mondo».
Al di là dei rilievi contabili, c’è da chiedersi se le donazioni servano davvero a far qualcosa di buono. Premesso che l’Africa non avrebbe bisogno di beneficenza ma di giustizia e di pace, premesso che la sopravvivenza di 1,4 miliardi di poveri nel mondo non dovrebbe dipendere dall’altruismo dei più ricchi ma da un’economia più equa, è innegabile che il mondo della solidarietà spesso lenisce (e talora occulta) i disastri della politica.
In venticinque anni di viaggi africani ho conosciuto persone straordinarie impegnate ad alleviare le sofferenze di popolazioni vittime di miseria e soprusi. Ho incontrato missionari, volontari, filantropi e cooperanti mossi dalle più nobili intenzioni, capaci di piccoli miracoli. Con altrettanta franchezza, confesso di essere incappato molto più spesso in inutili “progetti di sviluppo”, fallimentari “interventi umanitari”, vergognosi sprechi di denaro. Ho visto all’opera persone incapaci e impreparate, ong prive di scrupoli e di professionalità, benefattori megalomani e pericolosi. L’esperienza mi ha reso più prudente e sospettoso. Ma non più cinico e indifferente.
Continuo a dare fiducia a chi pubblica bilanci certificati e report puntuali, a chi limita le spese di gestione (e per gli stipendi, talvolta scandalosi, di manager e cooperanti) così da canalizzare gli aiuti dove più servono, a chi rispetta la dignità dei minori e non ne usa le immagini per impietosire, a chi non strumentalizza le “emergenze”, a chi lavora con gli africani e non per loro. Aiutare significa prima di tutto documentarsi, esigere trasparenza, discernere tra disonesti e meritevoli di fiducia. Donare senza informarsi serve solo a mettersi la coscienza in pace.
Marco Trovato, direttore editoriale rivista Africa