Martedì il presidente deposto del Sudan, Omar al-Bashir, è stato trasferito nella prigione di Kobar della capitale Khartoum. Questa notizia è stata seguita da quella arrivata nella tarda serata di ieri: l’arresto di due fratelli del deposto presidente. «Abbiamo arrestato simboli del regime rovesciato e fratelli del presidente deposto, Abdallah e Abbas», ha detto ai giornalisti il tenente generale Shamseddine Kabbashi, che poi ha aggiunto: «Gli arresti colpiscono i simboli del regime destituito, coloro che sono sospettati di corruzione».
In precedenza, l’emittente televisiva Al-Hadath aveva confermato che l’ex capo dello Stato si trovava agli arresti domiciliari insieme a un certo numero di leader della Fratellanza musulmana. Infatti, parlando in conferenza stampa subito dopo la presa del potere da parte dell’esercito, uno dei portavoce del Consiglio militare di transizione, il tenente Omar Zain al-Abidin, aveva dichiarato che Bashir «sarà processato secondo il sistema giudiziario sudanese» e non sarà estradato.
«Finché il Consiglio militare resterà al potere, nessun cittadino sudanese sarà estradato per essere processato in un tribunale straniero», aveva detto l’ufficiale, precisando tuttavia che un futuro governo civile potrebbe scegliere di affrontare la questione in modo diverso. La popolazione sudanese tuttavia ha chiesto che l’ex presidente venga sottoposto a processo.
«Avremo tolleranza zero per coloro che uccidono i cittadini», aveva poi aggiunto Abidin. Va ricordato infatti che Bashir è stato incriminato circa dieci anni fa dalla Corte penale internazionale (Cpi) per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nel conflitto del Darfur, scoppiato nel 2003, che ha provocato 300mila vittime. Ora Bashir potrebbe rischiare l’estradizione e il processo.
Martedì è però arrivata la proposta di aiuto del governo dell’Uganda, il quale si è detto disposto a offrire asilo a Bashir. “Se Bashir chiederà asilo in Uganda, la questione potrà essere presa in considerazione dal presidente dell’Uganda”, ha detto il ministro di Stato per la cooperazione regionale, Okello Oryem, parlando alla stampa di Kampala al termine di un’audizione in parlamento. “Il presidente Omar Bashir è stato co-garante dell’accordo di pace in Sud Sudan, ha svolto un ruolo molto importante per il quale siamo molto grati e il suo asilo in Uganda è un qualcosa che possiamo considerare”, ha aggiunto.
Nel frattempo, sempre martedì, il re saudita Salman ha avuto un colloquio telefonico con il principe ereditario emiratino, lo sceicco Mohammed bin Zayed al Nahyan, nel corso del quale si sarebbe discusso degli sviluppi in Sudan. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno espresso nei giorni scorsi il loro sostegno al Consiglio militare di transizione instaurato in Sudan dopo la destituzione di Bashir, con Riad che ha promesso un pacchetto di aiuti al popolo sudanese. Secondo quanto riferito da alcuni media internazionali, inoltre, Bashir potrebbe richiedere asilo proprio in Arabia Saudita.
Bashir, al potere in Sudan per 30 anni, è stato estromesso lo scorso 11 aprile dopo mesi di proteste di massa. A succedergli era stato l’ex ministro della Difesa, Ahmed Awad Ibn Auf, il quale si è tuttavia dimesso il giorno dopo aver assunto la carica, al suo posto è stato nominato Abdel Fattah Abdelrahman Burhan, che ha usato toni più concilianti verso i manifestanti cercando venendo incontro alle loro richieste (ad esempio ha ordinato alla Banca centrale di Khartum di rivedere tutti i trasferimenti finanziari effettuati a partire dall’ 1 aprile e di sequestrare i fondi ritenuti “sospetti”). I manifestanti e l’opposizione sudanese però vorrebbero un passaggio di potere che favorisca i politici espressione della società civile.
Dato che al momento anche la Costituzione è sospesa, così come il Parlamento, anche l’Unione Africana ha fatto sapere che non appoggia il nuovo corso militare e ha quindi dato all’esercito sudanese due settimane per cambiare la situazione, altrimenti «saranno messe in atto ritorsioni».