Al Cairo, la prima volta di una direttrice d’orchestra donna (e italiana)

di Enrico Casale
Isabella Ambrosini

Un direttore d’orchestra donna e perdipiù straniera ha diretto un concerto alla Cairo Opera House. Il caso è straordinario e ci tocca da vicino perché la musicista è italiana. Isabella Ambrosini ha diretto in Egitto, un Paese musulmano che, solitamente, non ammette l’esibizione di una donna sul palco di un concerto.

«La musica non è dell’Occidente, dell’Oriente, del Nord o del Sud – ha detto la Ambrosini all’Ansa -. La musica è di tutti. È pensiero puro e vivo, quando è grande musica, e in quanto tale è un patrimonio dell’umanità».

Direttrice artistica e musicale – oltre che fondatrice – dell’Orchestra Roma Sinfonica e del Coro Roma Tre, Ambrosini è stata la prima direttrice donna a dirigere un concerto a Montecitorio e, in passato, si è esibita davanti a papa Giovanni Paolo II. Per il concerto del Cairo ha scelto un programma con musiche di Beethoven, Ravel, Saint-Sans e Danzi.

«Ho trovato un’orchestra con elementi da tutto il mondo, moltissimi giovani, molto attenti al mio modo di interpretare la musica – ha detto Ambrosini -. Mi sono trovata davanti a musicisti che veramente volevano imparare e capire. È stata una bellissima sorpresa».

Secondo la direttrice d’orchestra essere donna o uomo non ha rilevanza nel dirigere un concerto: «in Italia c’è troppa attenzione su questo tema. Il nostro è un lavoro che si può fare solo dopo studi molto lunghi, difficili. Ci vuole un lunghissimo apprendistato, tanta esperienza. Io mi sono diplomata in composizione col vecchio ordinamento, quello da dieci anni di studio. Alla fine, essere una donna o un uomo conta molto poco. Conta la capacità di studio e di sacrificio, per tanti anni, la capacità di relazionarsi con l’orchestra».

E poi, ha aggiunto: «non credo che un teatro dell’Opera serio possa rischiare di scegliere un direttore perché è bello e non perché è bravo. Abbiamo avuto tanti direttori che erano anche bei uomini ma nessuno si è mai sognato di farli lavorare di più solo perché erano belli”, ha concluso riferendosi esplicitamente a Von Karajan, Muti, Pretre e Bernstein.

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