Al Festival di Cannes la storia di Souleymane, uno come tanti

di claudia

di Annamaria Gallone

È realizzato da un francese, ma è un film profondamente africano. L’Histoire de Souleymane è il nuovo film di Boris Lojkine, presentato nella sezione Un certain Regard al Festival di Cannes 2024. Dieci anni dopo aver presentato Hope, il suo primo film di finzione alla Settimana della Critica, vincitore del premio SACD 2014, il regista francese torna sulla Croisette con il suo nuovo film di narrativa sociale, girato con una troupe ridottissima e nessuna illuminazione artificiale, un ritmo incalzante, primissimi piani del protagonista in continuo movimento ““Gli attori non sono professionisti, -dice il regista- vengono con quello che sono, portatori del loro mondo. Sta a me saper accogliere la loro singolarità”. E ancora: “Ho scelto di raccontare la storia di un uomo che ha deciso di mentire. Non volevo realizzare una storia troppo esemplare, che mostrasse un bravo ragazzo alle prese con una pessima politica migratoria”.  Il risultato è un’opera sobria, angosciosa, bellissima.

I film sull’immigrazione sono molti, ma questo si stacca da tutti: è la storia di due giorni nella vita di Souleymane, un giovane, tormentato fattorino guineano che consegna pizze correndo con la sua bicicletta nel cuore di una Parigi trafficata, spesso notturna, in un frenetico giro di ristoranti e appartamenti, sagome così familiari anche per noi e di cui tuttavia non sappiamo nulla.  Il protagonista è il bravissimo Abou Sangare, al suo debutto sullo schermo, straordinariamente intenso nella sua interpretazione.

Per i primi quindici minuti del film ti chiedi se si tratti di finzione o di documentario, ma poi entri nella storia del protagonista e vivi la sua quotidianità durissima, il suo lavoro senza respiro e le sere in cui corre senza fiato perché non può perdere il bus navetta che lo porta in un ostello della periferia, con una doccia, un letto a castello e alcuni “amici” in difficoltà.

Il ragazzo è angosciato perché deve sostenere un esame per la richiesta d’asilo: il suo futuro in Francia si deciderà due giorni dopo, durante un colloquio all’OFPRA (l’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi). Le difficoltà che incontra sono tantissime: amici che devono rendergli dei soldi lo maltrattano e i clienti rifiutano la consegna perché la pioggia ha bagnato il cartone della pizza, connazionali lo tormentano perché vogliono fare il suo stesso mestiere…  Deve anche trovare i soldi per pagare i documenti da presentare al colloquio, ma il proprietario dell’account Uber Eats che deve fornirgli questa piccola somma, gliela nega.

Uno dei momenti più toccanti è quello quando si collega su WhatsApp con la sua fidanzata la quale gli annuncia che un ingegnere gli ha offerto di sposarla, ma lei ama solo lui. Souleymane la ricambia con tutto il cuore, ma le raccomanda di sposare l’ingegnere, perché, nella sua condizione precaria, non è in grado di garantirle un futuro. Cercano di scherzare, poi scoppiano tutti e due a piangere.

Si avvicina il momento del colloquio e il rappresentante parigino dell’UFDG (Unione delle Forze Democratiche della Guinea) gli registra una storia con dettagli molto precisi sulla bugia che dovrà recitare: Souleymane non ha molto su cui basarsi, e quindi accetta i suggerimenti ripassando e ripetendo ansiosamente sulla sua bicicletta: deve parlare di un impegno politico in un progetto sociale che promuove l’istruzione, manifestazioni, un arresto nel 2020 e il carcere.

L’impiegata dell’OFFRA è gentile, gli lascia raccontare la sua storia e poi gli annuncia che è l’identica storia che ha già sentito molte volte e lo esorta a dirle la sua vera storia. Souleymane è spiazzato, si vergogna, balbetta e alla fine trabocca tutta la sua angoscia e parla della terribile esperienza del suo viaggio verso l’Europa, della madre gravemente ammalata che è stata abbandonata dal marito, della necessità di trovare i soldi per le sue medicine.

Nell’ultima sequenza l’impiegata lo congeda con la formula di rito: “le faremo sapere”. Il film si conclude così, un film commovente che non è per nulla pietistico, uno dei più belli che ho visto a Cannes.

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