Oggi vi parliamo di un film della regista di origine tunisina Hafsia Herzi, “Bonne Mère” (Una buona madre) presentato alla 74° edizione del festival di Cannes. L’opera ha il pregio di raccontare con sensibilità un tema ricorrente nel cinema di oggi, ovvero la condizione femminile, con uno stile cinematografico che oscilla abilmente tra dramma e commedia.
di Annamaria Gallone
BONNE MÈRE, (Una buona madre), avrebbe potuto risultare un déjà vu per il tema trattato: una madre di famiglia che si sacrifica, lavorando senza sosta per la sua famiglia. Ma il film presentato alla 74° edizione del festival di Cannes a Un certain regard, è ben altro. È l’opera seconda della regista di origine tunisina Hafsia Herzi, che conferma il talento dell’attrice scoperta da Abellatif Kechiche, passata dietro la camera già con un primo bellissimo film presentato a La semaine de la critique nel 2019: Tu mérite un amour, un’opera molto promettente. BONNE MÈRE riprende con una sensibilità profonda, giocando abilmente tra il dramma e la commedia, una tematica molto attuale nel cinema recente: la condizione femminile. In questo caso Hafsia traccia il magnifico ritratto di una donna, Nora, che vive in uno squallido quartiere periferico di Marsiglia e dopo una vita di fatiche e sofferenze, giunta a cinquant’anni, dovrebbe godere di un meritato riposo, mentre ha sulle sue spalle tutto il peso e la responsabilità di una famiglia allargata, come madre e nonna.
I personaggi
La regista riesce, grazie anche alla straordinaria interpretazione della protagonista, Halima Benhamed, a farci sentire tutto il peso dei suoi continui andirivieni, dalla pulizia degli aerei all’assistenza amorosa di una vecchia signora, alla sua famiglia turbolenta e disgraziata, nella quale l’unico spiraglio di luce è la nipotina, la piccola Maria. Il figlio è in prigione e la madre lo visita con una tenerezza infinita, si lascia convincere a portargli l’erba perché non riesce a dormire e vende tutti i suoi gioielli per pagare l’avvocato e accelerarne la liberazione. E tutto intorno a lei personaggi raccontati con humor, la figlia che sogna la ricchezza, rubacchia nei grandi magazzini e tenta, fallendo, un tipo particolare di prostituzione; il più giovane che marina la scuola per conquistare le ragazze, ma scrive una poesia commovente al padre in prigione e così via, con un susseguirsi di primissimi piani che ci fanno entrare nei personaggi e soprattutto la commozione nello scoprire il carattere di Nora, ad un tempo dolce e duro, buffo e commovente, che irraggia empatia e benevolenza verso tutti, che ha un’immensa fierezza in ciò che fa, che non porta mai rancore, che fissa l’orizzonte con una stanchezza triste, ma accettata.
Un altro grande pregio del film è l’esplorazione dei luoghi e il senso dello spazio in cui si muovono i personaggi, spazi esigui, soffocanti, fatiscenti, raccontati senza disprezzo, semplicemente mostrati da chi li conosce bene e li ha vissuti. Ma è soprattutto un film pieno d’amore, d’amore materno, ma anche fraterno, amicale. Nell’insieme un’opera piena di sfumature, profondamente vera, che suscita nello spettatore un continuo flusso di emozioni.
L’autrice dell’articolo, Annamaria Gallone, tra le massime esperte di cinema africano, terrà a Milano il 16 e 17 Ottobre 2021 il seminario “Schermi d’Africa” dedicato alla cinematografia africana. Per il programma e le iscrizioni clicca qui