L’opera presentata oggi alla 40° edizione del Festival di Cinema Africano di Verona è “This Is Not a Burial, It’s a Resurrection“, un affascinante e pluripremiato film d’azione del regista Lemohang Jeremiah Mosese, ambientato nella cornice del suo Paese natale, nel nord del Lesotho. Una storia – secondo le parole del regista – sulla capacità di resistenza e recupero dello spirito umano.
di Annamaria Gallone
“Le leggende dicono che questo posto era chiamato la pianura delle lacrime”. I missionari l’hanno poi ribattezzato Nazareth, ma “la gente lo chiamava semplicemente casa”. Siamo nel distretto di Leribè, nel nord del Lesotho, vicino al fiume Orange, nella splendida cornice naturale del suo paese natale scelta dal regista Lemohang Jeremiah Mosese (che vive a Berlino) per il suo affascinante primo film di finzione, This Is Not a Burial, It’s a Resurrection presentato oggi, giovedì 11 novembre al Festival di cinema africano di Verona.
Introdotto da un narratore e suonatore di lesiba (Jerry Mofokeng Wa Makheta) che inietta un tono senza tempo e magico (“ho visto i morti seppellire i loro morti. Mettetevi in cerchio, bambini”), il racconto ruota attorno al personaggio di Mantoa (un’eccezionale Mary Twala Mhlongo), una vedova ottantenne, che attende per Natale il suo unico figlio, un operaio immigrato che lavora in una miniera di carbone sudafricana. Arriva però la ferale notizia che il figlio è morto in un incidente in miniera. Per lei non c’è più motivo di vivere e quindi si prepara a morire liquidando i propri affari terreni e disponendo per la propria sepoltura. Il suo corpo deve restare nel cimitero del villaggio e non vede l’ora di ricongiungersi i suoi cari in paradiso. I suoi piani però vengono sconvolti quando apprende che il villaggio verrà mobilitato a forza e ricollocato a causa della costruzione di un bacino idrico. L’area verrà inondata e il cimitero profanato. Mantoa riscopre allora la voglia di viver ribellandosi: la sua risolutezza di è incrollabile e innesca nella comunità uno spirito collettivo di sfida.
Dichiara il regista: “Ancora oggi conosco ogni aspetto della casa di mia nonna: le pareti, il tetto di paglia, l’odore delle querce dopo la pioggia. Presto tutto questo non ci sarà più. Presto la casa sarà abbattuta e inondata, e l’acqua verrà incanalata nel cuore del Sudafrica. Intere comunità verranno cancellate in nome del progresso. Dimenticate in una marcia senz’anima verso il futuro. Non sono a favore o contro il progresso. Sono più interessato a mettere in discussione gli aspetti psicologici spirituali e sociali che lo accompagnano. Vecchio e nuovo. Nascita e morte. Una reverenza ecclesiastica verso la terra. Attraverso gli occhi di Mantoa, vediamo che c’è una grande oscurità da affrontare, ma alla fine questa è una storia sulla capacità di resistenza e recupero dello spirito umano”.
Il film ha vinto diversi premi internazionali: dall’African Movie Academy Awards, in Nigeria, dove ha ricevuto il premio come Miglior film, Miglior regista, Miglior attrice protagonista e Miglior costumista, all’Athens International Film Festival in Grecia dove ha vinto il Golden Athena per il Miglior Film e Premio Europa Film Festivals; dal Durban International Film Festival in Sudafrica, dove gli sono stati riconosciuti i premi come Miglior regia, Miglior attrice e Premio per il coraggio artistico all’Hong Kong International Film Festival, in Cina, dove ha vinto il Premio Firebird e Migliore Attrice e infine al Sundance Film Festival (USA) il World Cinema Dramatic Special Jury Award per il cinema visionario.
(Annamaria Gallone)