testo e foto di Tariq Zaidi
Reportage tra le macerie e le bancarelle di Hamar Weyne, luogo-simbolo della resilienza della popolazione somala. La Somalia è la nazione che vanta la costa più lunga d’Africa. Le sue acque sono ricchissime di pesce. Migliaia di persone vivono grazie alle quotidiane attività di uno storico mercato della capitale che ha resistono a oltre trent’anni di violenze e di instabilità
È mattina presto al mercato del pesce di Hamar Weyne, storico quartiere di Mogadiscio, e centinaia di pescatori stanno trasportando il bottino recuperato con le reti durante la notte nelle acque generose dell’Oceano Indiano. È una processione inarrestabile, un incessante andirivieni che si rinnova puntuale ogni giorno. Uomini e ragazzini dal volto imperlato dal sudore, curvi sotto il peso dei pesci, fanno la spola tra le barche e le bancarelle del mercato ittico. Camminano con passo deciso tra macerie di palazzi fatiscenti e strade sventrate dalle esplosioni. Impassibili e ostinati, portano sulle spalle enormi esemplari di pesci spada, tonni, pesci vela, squali, barracuda.
Ex zona balneare
Hamar Weyne è il principale luogo di smercio del pesce della capitale. La sua posizione privilegiata, a pochi metri dal vecchio porto, ne fanno un punto di riferimento per la vendita e la distribuzione del pesce fresco in tutta la Somalia. Questa era un tempo una zona balneare elegante e frequentata. Ora è piena di edifici abbandonati e in rovina, squarciati da fori di proiettili, su cui troneggia un faro fatiscente. Ma questo mercato del pesce rimane il cuore pulsante dell’economia locale, una fonte vitale di occupazione e di sostentamento in questa città martoriata, luogo-simbolo della resilienza di una popolazione flagellata da oltre trent’anni di guerra civile e di terrorismo. E l’indefesso lavoro dei pescatori ha permesso di sfamare le loro famiglie anche nei momenti più bui della crisi somala, quando anche la capitale era in preda all’anarchia e subiva gli effetti del completo isolamento internazionale dai commerci.
Pesca artigianale
Il mercato del pesce non ha mai smesso di funzionare. Anche quando a Mogadiscio infuriavano le battaglie, i pescatori prendevano il largo, a bordo di povere imbarcazioni. Oggi che il peggio sembra passato, i pescatori escono ogni mattina e tirano a mano il pescato con le reti su barche artigianali tramandate di generazione in generazione. La Fao stima in circa 25.500 i pescatori che lavorano nell’industria ittica somala. Molti di loro si affidano al mercato del pesce di Hamar Weyne per vendere frutto della loro fatica. I prezzi sono significativamente più bassi di quelli che troveresti in qualsiasi altra parte del mondo. Il tonno, per esempio, si vende a un dollaro e mezzo al chilo. E naturalmente la merce esposta nelle bancarelle è freschissima.
Nonostante la sua importanza come fonte di reddito per migliaia di famiglie, l’industria della pesca in Somalia è ancora su piccola scala e non è neanche lontanamente vicina al suo pieno potenziale, a causa della guerra civile in corso e della mancanza di investimenti nel settore. Sebbene la Somalia vanti la costa più lunga dell’Africa, ricca di specie migratorie come tonno, pescecane e sgombro spagnolo, la pesca rappresenta solo l’1-2% del Pil del Paese e il 3% delle sue esportazioni.
Ladri di pesce
La Somalia ha anche il consumo di pesce più basso di tutte le nazioni africane. Ciò è dovuto in parte alla mancanza di veicoli congelatori per il trasporto dei prodotti freschi. Molti pescatori che non sono in grado di trasportare il pescato lo convertono in pesce affumicato, essiccato o salato. Ma le difficoltà di movimento – dovute a strade insicure, carenze di mezzi e costo del carburante – fanno sì che il suo consumo sia limitato alle regioni costiere: un paradosso per una nazione minacciata ciclicamente da terrificanti carestie. L’ultima crisi umanitaria in corso – scatenata dalla siccità e acuita dalla crisi internazionale che ha frenato gli aiuti alimentari – secondo le agenzie delle Nazioni Unite, sta affliggendo di fame più di trecentomila somali e minaccia circa 6,7 milioni di persone: un presagio catastrofico. Nonostante gli sforzi internazionali per rafforzare il settore (gli investimenti maggiori sono giunti dalla Turchia), l’industria della pesca somala non è stata in grado di raggiungere i mercati globali. La mancanza di sicurezza marittima e di controlli in queste acque ha anche favorito il dilagare della pesca illegale. Impossibile contrastare oggi il fenomeno coi pochi mezzi a disposizione delle autorità. La guardia costiera non dispone di sufficienti imbarcazioni, armamenti, dispositivi di controllo e personale addestrato.
Acque strategiche
La Somalia ha un’enorme importanza geostrategica per via della sua posizione nel Corno d’Africa, affacciata sull’Oceano Indiano, un tratto di mare cruciale per il commercio mondiale, porta d’accesso al Mar Rosso e al Canale di Suez. Le principali potenze pattugliano con i loro contingenti militari le acque al largo della costa somala, dove la pirateria continua a impensierire. La presenza della forza navale multilaterale nel Golfo di Aden, sostenuta da più di venti Paesi, ha permesso di contrastare gli assalti dei miliziani armati di kalashnikov, a beneficio dei mercantili che ogni giorno transitano in questo fondamentale braccio di mare, ma non ha certo favorito il controllo delle acque costiere (che peraltro potrebbero anche celare ricchi giacimenti di petrolio), saccheggiate impunemente dai pescatori di frodo. Si stima che ogni anno centinaia di imbarcazioni straniere rubino pesce alla Somalia per un valore di 300 milioni di dollari. Consapevole dell’enorme danno causato alle casse dello Stato, il governo di Mogadiscio punta a promuovere la pesca commerciale, confidando che il pattugliamento delle acque da parte dei grandi pescherecci industriale possa scoraggiare le attività illecite.
Voglia di riscatto
Nel 2019, per la prima volta in più di 20 anni, la Somalia ha concesso licenze di pesca a 31 pescherecci cinesi per sfruttare tonno e specie simili al tonno al largo delle sue coste nel tentativo di sfruttare il settore per la crescita economica. Mentre il Paese ricostruisce le sue infrastrutture dopo decenni di guerra civile, l’industria ittica potrebbe svolgere un ruolo chiave nella trasformazione dell’economia e del futuro della Somalia. Mogadiscio ha affrontato molte sfide negli ultimi anni, tra cui la guerra civile e il terrorismo che l’hanno resa una delle città più pericolose al mondo. La capitale convive tuttora con un perenne stato di tensione e di incertezza, come testimoniano i recenti attentati dinamitardi firmati dai miliziani jihadisti di Al Shabaab che hanno seminato distruzione e morte, nei mercati come nei palazzi del potere. Il governo guidato dal presidente somalo Sheikh Mohamud ha ottenuto importati risultati nella lotta al terrorismo, ma la pacificazione è ancora lontana. Non solo. Il 70% della popolazione sopravvive sotto la soglia di povertà e il 40% del Pil nazionale dipende dalle rimesse della diaspora. Ma i somali sono noti per la loro resilienza e determinazione, come testimonia la vitalità che anima le macerie di Hamar Weyne. Le ferite della tormentata storia di questo luogo sono ben evidenti, ma tra le bancarelle del suo mercato del pesce prevale l’ostinata voglia di vivere.
Questo articolo è uscito sul numero 3/2023 della rivista Africa. Per acquistare una copia clicca qui, o visita l’e-shop.