Il clima sociale e politico in Egitto è pessimo. Il presidente Abd al Fattah al Sisi è accusato da più parti di violazioni dei diritti umani, repressione dell’opposizione, eccessivo controllo sulla società. Eppure c’è chi, non solo lo sostiene ancora, ma addirittura lo appoggerà alle elezioni presidenziali del 2018.
Ma andiamo con ordine. Le accuse contro il segime di al Sisi sono durissime. Questa estate Amnesty International, l’associazione che difende i diriti umani, ha pubblicato un rapporto in cui ha denunciato l’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa) di rapimenti, torture e sparizioni forzate «nel tentativo di incutere paura agli oppositori e spazzare via il dissenso pacifico». Il rapporto, intitolato «Egitto: “Tu ufficialmente non esisti”. Sparizioni forzate e torture in nome del contrasto al terrorismo», rivela una vera e propria tendenza che vede centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi 14enni, sparire nelle mani dello Stato senza lasciare traccia. Secondo le organizzazioni non governative locali, la media delle sparizioni forzate è di tre-quattro al giorno. Di solito, agenti dell’Nsa pesantemente armati fanno irruzione nelle abitazioni private, portano via le persone e le trattengono anche per mesi, spesso ammanettate e bendate per l’intero periodo.
Una violenza che ha toccato anche l’Italia. Il caso del ricercatore Giulio Regeni, rapito e ucciso (probabilmente da uomini della sicurezza nazionale) è ancora irrisolto. E la soluzione non sembra vicina, nonostante, a parole, il governo del Cairo si sia più volte detto disponibile a collaborare.
Alle denunce di Amnesty International si aggiungono quelle di David Kaye, relatore per la libertà di espressione presso il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. «La pressione sulla stampa in Egitto – ha dichiarato in una conferenza stampa – è estrema e molto peggio che sotto Hosni Mubarak. La situazione è grave e crudele». Kaye ha anche citato la chiusura ordinata dal governo, «senza nessuna ragione», della rete di biblioteche fondate dall’attivista Gamal Eid con i fondi di un premio per i diritti umani: «Un atto vendicativo», ha detto il giurista americano, dal 2014 Special Rapporteur sulla libertà di espressione, chiedendo al governo del Cairo di cambiare rotta.
Eppure, nonostante questo clima repressivo e nonostante le elezioni siano ancora lontane (sono previste nel 2018, c’è già chi ha dichiarato il proprio sostegno al presidente al Sisi. Gruppi di intellettuali e personaggi pubblici egiziani hanno iniziato a promuovere campagne propagandistiche sulla stampa e sui social media a favore della sua rielezione per un secondo mandato. I promotori della campagna intitolata «Siamo tutti con te per l’Egitto», di recente hanno puntato a raccogliere dichiarazioni di sostegno da parte di esponenti delle Chiese locali. Tra i sottoscrittori dell’appello, come ricorda l’Agenzia Fides, figura anche il vescovo copto ortodosso Jeremiah, responsabile del Centro culturale copto, che ha elogiato l’iniziativa come uno strumento utile per mettere in evidenza le opere e il contributo offerto dal Presidente al Sisi alla stabilizzazione del Paese. Gli organizzatori della campagna hanno contattato anche Anba Antonios Aziz Mina, vescovo copto cattolico emerito di Guizeh, il quale ha rilasciato una dichiarazione in cui ha ricordato, tra le altre cose, che al Sisi è stato il primo presidente egiziano a visitare la cattedrale copta ortodossa in occasione della celebrazione del Natale. Tra gli altri esponenti delle comunità ecclesiali coinvolti dalla campagna pro-Sisi figurano anche il reverendo evangelico Sami Ayad, professore di teologia, e il dottor Ikram Lamai, a capo del Consiglio della Chiesa evangelica.