di Céline Camoin
È la fine del diritto di sciopero in Algeria? Se lo chiede un redattore di Jeune Afrique da Algeri, dopo il decreto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 23 ottobre, che stila un elenco esaustivo di funzioni e settori per i quali i movimenti sociali non saranno più tollerati.
Firmato dal Primo Ministro, Aymen Benabderrahmane, il testo riguarda soprattutto la difesa e la sicurezza nazionale, oltre ai servizi dell’Interno, della Giustizia, della protezione civile, degli Esteri, delle Finanze, degli affari religiosi, dei trasporti, dell’agricoltura, dell’istruzione, della formazione professionale e dell’insegnamento, riferisce la medesima testata.
Concretamente, non hanno più diritto di allontanarsi dal posto di lavoro o di partecipare a movimenti di protesta: magistrati, funzionari pubblici nominati con decreto o distaccati all’estero, doganieri, personale dell’amministrazione penitenziaria, imam, controllori della navigazione aerea o marittima, personale dei servizi di sicurezza, tutela dei siti e degli stabilimenti agenti o appartenenti a determinati organi dell’amministrazione forestale, direttori di istituti scolastici pubblici, ispettori dell’istruzione e della formazione professionale.
Il governo giustifica queste restrizioni con la volontà di “mantenere la continuità dei servizi pubblici essenziali e di assicurare l’approvvigionamento del Paese e della popolazione con beni essenziali, la cui interruzione potrebbe esporre il cittadino a rischi per la sua vita, la sua sicurezza o salute”, o condurre potenzialmente, attraverso le conseguenze dello sciopero, ad una grave crisi”.
Inoltre, il testo elenca i settori di attività che devono garantire la permanenza durante l’interruzione del lavoro mobilitando l’equivalente del 30% del personale in sciopero. Si tratta del personale sanitario di emergenza, dei laboratori di analisi, dei servizi addetti alla produzione, fornitura e distribuzione di medicinali e attrezzature sanitarie, dei servizi di trasporto di prodotti riconosciuti pericolosi, rapidamente deperibili o legati a esigenze di difesa nazionale, dei servizi di sepoltura e dei cimiteri, dei servizi legati alla il funzionamento delle reti nazionali di telecomunicazioni, radio, televisione, servizi di disinfezione… “Basti dire che è la fine degli scioperi », Riassume un membro dell’Unione nazionale degli operatori sanitari pubblici.
Votata lo scorso marzo dal Parlamento, la legge sulla prevenzione dei conflitti sul lavoro e sull’esercizio del diritto di organizzazione ha suscitato molto presto la preoccupazione dei sindacati, che in precedenza avevano tenuto diversi conclavi per denunciare il nuovo sistema. Il giorno in cui il governo ha presentato il disegno di legge ai deputati, i sindacati del servizio pubblico hanno addirittura organizzato uno sciopero, che ha registrato una scarsa partecipazione, ma che ha comunque permesso di sottolineare la loro opposizione.
Deplorando di non essere stata associata allo sviluppo di questa legge, la Confederazione dei sindacati autonomi, che riunisce una quindicina di organizzazioni soprattutto nel settore dell’istruzione e della sanità nazionale, ha alzato la voce, considerando che queste nuove restrizioni segnano “la fine dei diritti sindacali in Algeria”. Anche l’Unione Generale dei Lavoratori Algerini (Ugta), l’unica ad operare prima dell’introduzione del pluralismo sindacale e che, tradizionalmente, è attenta a non mettere in discussione le decisioni del governo, si è unita al movimento di protesta.