“Il grande spreco”: questo è il titolo dell’inchiesta pubblicata alcuni giorni fa in prima pagina dal quotidiano indipendente Liberté, considerato tra i più diffusi in Algeria, per denunciare lo sperpero di denaro pubblico e la cattiva gestione nella rivalutazione di progetti di infrastrutture statali nel Paese dell’Africa settentrionale.“Gli esorbitanti costi aggiuntivi generati dalle ricorrenti rivalutazioni dei progetti gravano pesantemente sul bilancio dello Stato: un vero e proprio abisso finanziario”, si legge nell’articolo che cita numeri ben precisi: le continue operazioni di rivalutazione dei progetti di attrezzature pubbliche sono costate allo Stato 8.908 miliardi di dinari nel periodo 2005-2020, ovvero una media di quasi 600 miliardi di dinari – pari a circa 3,7 miliardi di euro – all’anno.
La cifra è stata resa nota dal primo ministro Aymen Benabderrahmane in una sessione plenaria dedicata alle sue risposte alle domande dei parlamentari sul piano d’azione del governo. “Gli effetti perversi della politica di espansione fiscale che ha segnato gli ultimi 20 anni non sono più un tabù”, osserva Liberté, che precisa: “Naturalmente, il Paese aveva un disperato bisogno di infrastrutture e di investimenti. La spesa pubblica negli anni 2000, o addirittura fino al 2015 – anni segnati da un aumento dei prezzi mondiali del petrolio – ha dato origine a molteplici piaghe economiche, come corruzione, cattiva gestione e spreco di risorse finanziarie”.
Sebbene i bilanci statali siano sempre stati codificati da una legge finanziaria principale e da una legge finanziaria complementare, i governi dell’epoca sembravano concedersi la discrezionalità di un margine aggiuntivo per rivedere i progetti di attrezzature e le autorizzazioni di programma. L’ammontare dei costi aggiuntivi generati dal ripetuto riesame dei progetti, comunicato dal presidente del Consiglio, “è da capogiro e fornisce indicazioni su una prassi consolidata a norma di bilancio e gestione dei programmi di investimento pubblico”. Si tratta di una deriva che rappresenta quasi 80 miliardi di dollari in quindici anni, quasi il doppio dell’attuale saldo delle riserve valutarie.
Nelle sue relazioni di valutazione sull’esecuzione dei bilanci, la Corte dei conti ha più volte lanciato l’allarme sui costi aggiuntivi derivanti dalle successive rivalutazioni dei progetti. “Praticamente tutti i ministeri e le istituzioni statali erano coinvolti in questa pratica, che era così dannosa per l’economia”, denuncia ancora il giornale. In alcuni casi citati dalla Corte dei conti di Algeri, il tasso di rivalutazione delle autorizzazioni di programma raggiunge il 1000%. Nelle loro diverse relazioni, i magistrati finanziari della Corte dei Conti hanno scritto che l’assenza o l’insufficienza di maturazione delle operazioni di investimento, in particolare in termini di studi progettuali, era all’origine di ripetute rivalutazioni delle operazioni.“L’esame dei bilanci delle attrezzature da parte della Corte dei conti ha rivelato che un gran numero di operazioni sono state oggetto di rivalutazioni o ristrutturazioni e, in alcuni casi, entrambe contemporaneamente, durante la fase di attuazione dei progetti e talvolta anche prima dell’inizio del lavori di esecuzione. Le modifiche apportate riguardavano per lo più i costi, la consistenza fisica delle opere, i tempi di esecuzione o addirittura la struttura dei progetti”, scriveva l’ente nella sua relazione di valutazione dell’esecuzione del bilancio dell’anno 2015.
Importazioni di servizi da 10 a 12 miliardi di dollari all’anno non sono servite apparentemente ad anticipare costi aggiuntivi attraverso una corretta maturazione e una gestione efficiente dei progetti. “La pratica della sovrafatturazione e della rivalutazione dei progetti è stata uno dei tratti distintivi della governance economica negli anni successivi al 2000”, conclude l’inchiesta di Liberté. A conferma dell’attenzione con cui gli attuali governanti algerini vogliono affrontare la vicenda, che rischia di fomentare ulteriormente le proteste del movimento Hirak che chiede l’azzeramento della classe politica ed amministrativa dell’Algeria, la fine della corruzione e la democratizzazione del Paese va segnalato l’arresto ieri di Mohamed Loukal, ex governatore della Banca d’Algeria ed ex ministro delle Finanze sotto il presidente Abdelaziz Bouteflika.
La decisione, pendente da più di due anni, è stata presa dal giudice del polo penale economico-finanziario del tribunale di Sidi M’hamed, per pesanti accuse relative a “corruzione”, “abuso d’ufficio” e “concessione di indebiti vantaggi”. Loukal, nel mirino della giustizia dal 2019, è stato ascoltato anche all’inizio dello scorso agosto insieme a diversi ex funzionari nel caso dell’”Agenzia nazionale per le dighe e i trasferimenti” (Anbt). Tuttavia, pare che le nuove accuse che pesano contro di lui oggi riguardino più specificamente “atti” commessi mentre era amministratore delegato della Banque extérieure d’Algérie (Bea), tra il 2001 e il 2016. Le prime notizie sul coinvolgimento di Mohamed Loukal nelle indagini sulla corruzione risalgono ad aprile 2019, nel contesto ancora incerto delle prime manifestazioni popolari.
Insieme a Loukal, anche l’ex primo ministro e ministro degli Interni Nouredine Bedoui è da ieri è sotto il controllo giudiziario con l’accusa di “sperpero di fondi pubblici” e di “abuso d’ufficio”. E non è escluso che nuove indagini possano partire dai dati citati in Parlamento da Benabderrahmane, rispondendo così alle richieste di una trasformazione radicale dello scenario politico algerino.
(Celine Camoin)