Una cosa deve essere chiara su ciò che sta accadendo in Libia, in Algeria, in Sudan: si tratta di un processo di riassetto geopolitico dell’intero Nord Africa promosso, in larga parte, dalla società civile, dai giovani in primo luogo, sul quale le potenze regionali ed europee cercano (spesso con successo) di intervenire.
Tutto è cominciato nel 2011 con quelle che inizialmente furono chiamate “Rivoluzioni arabe” e che poi passarono alla storia semplicemente come “Rivolte arabe” perché, per esempio in Egitto, portarono alla restaurazione, di fatto, del regime militare con solamente un cambio al vertice.
La storia insegna. E oggi le rivolte contro i regimi in Algeria e Sudan non si sono accontentate di un semplice cambio al vertice. A Khartoum, addirittura, i dimostranti hanno fatto dimettere due presidenti, l’odiato Omar al-Bashir e il suo successore – per un giorno – Abdel Kader Auf, che, tra l’altro, era il primo vicepresidente e ministro della Difesa del regime. Nonostante questi due impensabili successi le manifestazioni continuano, i dimostranti vogliono, esigono, un governo civile.
Accade qualcosa di simile in Algeria. Le oceaniche manifestazioni hanno costretto alle dimissioni il presidente Bouteflika, sostituito da Abdel Kader Bensalah, uomo che l’oligarchia al potere dall’indipendenza ha tirato fuori dal cilindro per placare il popolo. Niente da fare, anche in Algeria le manifestazioni continuano. Quelle rivolte, a differenza di quelle del 2011, vogliono diventare rivoluzioni. Vogliono un cambio vero, non solo di facciata.
In questo processo c’è la Libia, dove la rivolta è finita in caos. È la dimostrazione che quando il tentativo di intervento delle grandi potenze europee (e non solo) ha successo, non si parla più n° di “rivolta” né di “rivoluzione”. In una parola si annullano in modo totale le spinte del popolo verso il cambiamento. Anzi, il popolo diventa l’unica vera vittima, come in Siria.
(Raffaele Masto – Buongiorno Africa)