di Céline Camoin
Poco più di 24 milioni di elettori algerini sono convocati alle urne, ma il tasso di partecipazione alle odierne elezioni presidenziali 2024 è probabilmente la sola incognita di un voto il cui risultato appare scontato alla maggior parte degli osservatori: la rielezione del capo di Stato uscente, Abdelmajid Tebboune (foto di apertura), a un secondo mandato alla guida del Paese.
Alle elezioni presidenziali del dicembre 2019, spinte da una rivolta popolare, l’Hirak, in rotta con il vecchio sistema, il tasso d’affluenza fu del 39,88 per cento; alle elezioni parlamentari del giugno 2021, il dato scese significativamente, al 23 per cento soltanto.
La comunità algerina all’estero, di cui fanno parte 865.490 aventi diritto, sta già procedendo alle operazioni in corso dal 2 settembre. Due sfidanti sono in gara contro l’indipendente Tebboune, sostenuto da un gran numero di partiti: Abdelali Hassani Cherif, presidente del partito islamista Movimento della Società per la Pace (Msp), e Youcef Aouchiche, primo segretario del Fronte delle forze socialiste (Ffs), partito laico di sinistra originario della Cabilia.
Anche Aldo Liga, ricercatore all’osservatorio Medio Oriente e Africa dell’Ispi, intervistato da Africa, si aspetta una vittoria di Tebboune con un netto vantaggio sui suoi avversari, peraltro ridotti al minimo dopo l’esclusione dal parte dell’autorità nazionale indipendente per le elezioni (Anie) di 13 aspiranti che avevano fatto domanda di ammissione. “È interessante – sottolinea Liga – notare le somiglianze emerse negli ultimi mesi tra l’Algeria e la Tunisia, altro Paese che si prepara a rieleggere il presidente tra un mese. Ad esempio nel caso di queste elezioni presidenziali si sono seguite traiettorie simili nello squalificare alcuni candidati. Abbiamo visto numeri altissimi di firme necessarie per potersi ufficialmente candidare, quasi a volere più possibile disincentivare la partecipazione democratica. Abbiamo visto alcuni interventi della magistratura, che ha denunciato casi di corruzione, o di pagamento illecito per potere comprare endorsement”. Nel caso algerino, tre candidati, tra cui la presidente della Confederazione generale delle imprese algerine (Cgea), Saida Neghza, sono finiti sotto controllo giudiziario per questo motivo.
“È interessante anche notare che nei casi delle controversie sulle candidature, l’ultima parola venga pronunciata dalle autorità nazionali per le elezioni, che in teoria dovrebbero essere entità di controllo del regolare svolgimento delle elezioni e la legalità dell’esercizio democratica, ma che in realtà si trasformano in strumenti nelle mani dei due presidenti della Repubblica, per poter dire chi può e chi non può candidarsi, e di conseguenza facilitare la scontata rielezione di entrambi”, aggiunge il nostro interlocutore.
Sempre più difficile, nel caso algerino, reperire o assistere a forme di protesta contro queste derive. “L’ultima vera grande forma di protesta in Algeria è stata l’Hirak, nel periodo 2019 e 2020, con gli ostacoli poi legati al Covid. Diverso è il caso tunisino, con una tradizione di movimento popolare e proteste più vivace negli ultimi anni, anche contro determinate azioni di Saied. È anche vero, purtroppo, che molti dei risultati che erano stati, se non pienamente ottenuti, almeno sanzionati a livello nominale, si sono deteriorati negli ultimi tre anni con il colpo di forza di Saied”.
L’Hirak – parola che significa il movimento – ha sofferto non solo della battuta d’arresto delle restrizioni sanitarie, ma anche di questioni di leadership interne e degli ostacoli posti dal governo, che “ha fatto di tutto pur di non dare la possibilità a questo movimento di poter continuare”. Eppure il governo Tebboune, è bene ricordarlo, nacque proprio in un certo senso come risposta a questo movimento per il cambiamento. Un contesto in cui era forte la speranza di una nuova Algeria, di riforme dello Stato, e di un cambio di narrativa importante tra il prima, e il dopo 2019.
E se quello che ha fatto Tebboune sotto il primo mandato si pone in teoria come una risposta all’Hirak, “bisogna dire che il Paese sta affrontando una fase, anche a livello economico, molto diversa rispetto a quella del 2019. L’Algeria dipende al circa 95 percento dalla componente idrocarburi, e il contratto sociale si basa sulla sua rendita. I cittadini seguono nel loro rapporto con lo Stato il parametro della ridistribuzione di questa ricchezza. Il fatto che ultimamente, anche nel contesto della guerra russo-ucraina, i prezzi dell’energia abbiano raggiunto livelli alti ha chiaramente concesso al Paese di guadagnare un’extra rendita, soprattutto rispetto al periodo del Covid in cui i prezzi si erano molto abbassati”, spiega Aldo Liga. “Tale contesto ha fatto sì che Tebboune abbia potuto ridistribuire molta più ricchezza, sono state approvate nuove forme di sussidi, sostegni alla disoccupazione, e welfare in generale”.
L’Algeria si trova quindi in una fase in cui il malessere sociale viene calmato, grazie alla rendita maggiore. “La congiuntura attuale, in cui prezzi di petrolio e gas sono alti, crea però un rischio importante – aggiunge il ricercatore dell’Ispi – perché impedisce al Paese di riformarsi. Quando i prezzi riscenderanno, il Paese dovrà pagare comunque molto di più rispetto a quello che pagava prima con meno risorse, in un contesto in cui, fra l’altro, la produzione non è ottimale, è molto costosa, e in parallelo si registra una crescita demografica importante”.
L’esperto regionale invita a non fidarsi troppo di tutte le dichiarazioni pubbliche sulle innovazioni legislative, come ad esempio l’apertura agli investimenti esteri, o la transizione energetica. “Se ne parla tanto, ma nel concreto non c’è quasi nulla, la produzione di rinnovabile è bassissima. Non ci sono fisicamente impianti di produzione di energia verde. Nonostante gare per impianti fotovoltaici, nella pratica è stato fatto ben poco”. Farmaceutico, acciaio, agricoltura, industria automobilistica – la Fiat ha cominciato a produrre macchine ad Orano – sono settori di cui si parla molto per diversificare l’economia, e in cui sono state realizzate cose interessanti, anche se non abbastanza per bilanciare gli idrocarburi.
Guardando al bilancio del primo mandato di Tebboune, si può pertanto parlare, secondo l’esperto dell’Ispi, sul piano economico di tentativi di riforma limitati rispetto alle sfide colossali che il Paese si trova davanti. Sul piano delle libertà personali si è assistito invece a restrizioni importanti, con casi emblematici nella libertà di stampa, accuse poco chiare e incarcerazioni.
Sul piano internazionale si assiste a un ritorno dell’attivismo algerino, nella scia di situazioni drammatiche. Rispetto alla crisi ucraina, Algeri ha saputo intercettare un nuovo torrente di diplomazia e trarre benefici nel settore dell’energia. La sua interessante politica estera, basata sull’indipendenza, sul rispetto dell’autodeterminazione dei popoli, sul non allineamento, consente ad Algeri di avere ad esempio relazioni strette con la Russia dal punto di vista militare, ma anche un dialogo aperto e sviluppato con gli Stati Uniti, relazioni economiche strettissime con la Cina e con Paesi europei. Sul piano regionale gli anni Tebboune sono caratterizzati da una forte crisi con il Marocco, con la rottura delle relazioni diplomatiche nel 2021, un forte riavvicinamento con la Tunisia, un tentativo di rafforzare un legame a tre con Libia e Tunisia, mentre si sono incrinati i rapporti con il vicino Mali.
Il rapporto tra Italia e Algeria è importante e entrambi i Paesi hanno un’alleanza strategica su molti temi. L’Algeria è ormai il primo fornitore di gas naturale, ed è sicuramente uno dei partner nord-africani più importanti, come testimonia il numero di visite di ministri i primi ministri. L’Italia è un Paese importante per l’Algeria, che attribuisce importanza all’eredità di Enrico Mattei per sottolineare il fatto che fossero relazioni pre-indipendenza.
L’importanza che Algeri attribuisce all’Italia va anche letta nel contesto delle crisi tra Algeri e altri due partner europei, la Spagna e la Francia, per via delle loro posizioni filo marocchine sulla questione del Sahara Occidentale.