Alla Cpi è andato sotto processo un pezzo di storia, che si è concluso con una condanna esemplare. La Corte dell’Aia ha condannato l’ex capo ribelle congolese Bosco Ntaganda, noto come “The Terminator”, a 30 anni di carcere. È la maggiore condanna mai inflitta dalla Corte Penale. Ntaganda è stato dichiarato colpevole di crimini di guerra nell’Ituri, provincia nord-orientale della Repubblica democratica del Congo. La Corte ha stabilito che sono in totale 13 i suoi crimini di guerra e cinque quelli contro l’umanità. Ntaganda ha 46enne ed è nato in Ruanda, ha già fatto appello contro la condanna.
Le modalità con cui è finito sotto processo all’Aia sono certamente anomale. Ntaganda è entrato nell’ambasciata degli Stati Uniti, nella capitale ruandese Kigali, nel 2013 chiedendo di essere inviato al tribunale internazionale nei Paesi Bassi. I pubblici ministeri hanno sospettato che la sua decisione di consegnarsi alla Corte quell’anno era basata sul fatto che la sua vita era in pericolo a causa di una faida nel gruppo ribelle M23 fondato dallo stesso Ntaganda, generale dell’esercito congolese dal 2007 al 2012, dopo il conflitto nell’Ituri.
Le accuse a Ntaganda sono circostanziate e ricche di testimonianze. Secondo organizzazioni per la difesa di diritti umani, più di 60mila persone sono state uccise dallo scoppio delle violenze nella regione dell’Ituri nel 1999. La Corte ha dimostrato che i combattenti fedeli a Ntaganda hanno commesso atrocità quali un massacro in un campo di banane nel villaggio di Kobu, nel Nord-est della Rd Congo, in cui almeno 49 persone, tra le quali bambini e neonati, sono state uccise (sventrate o con la testa fracassata). Ntaganda è stato anche ritenuto responsabile dello stupro e della schiavitù sessuale di ragazze minorenni nonché del reclutamento di soldati di età inferiore ai 15 anni.
Durante il processo, l’ex capo ribelle è stato ritratto anche come lo spietato leader delle rivolte etniche dei Tutsi nei conflitti che agitarono la Rdc dopo il genocidio del 1994 nel vicino Ruanda. Ntaganda durante il processo si è difeso e ha detto ai magistrati di essere «un soldato, non un criminale». Una frase che farebbe pensare che eseguisse degli ordini. In effetti il suo ruolo di “generale” anomalo (nato in Ruanda, ma inquadrato nell’esercito congolese) fa pensare che in quegli anni facesse il lavoro sporco a vantaggio di protagonisti “terzi”.