Niente pacchi per un giorno. Oggi Amazon si è fermata in Italia per lo sciopero degli addetti alla logistica e dei fattorini (circa 35mila addetti). E’ il primo stop che coinvolge l’intera filiera del colosso delle vendite online. I dipendenti hanno chiesto la solidarietà dei consumatori invitandoli a evitare acquisti per l’intera giornata. E in Africa cosa accade? Siamo andati a indagare come funziona l’e-commerce nel continente, facendo scoperte interessanti… A cominciare dalle start-up locali che sfidano Jeff Bezos (e che crescono anche grazie al Covid)
di Michele Vollaro
Amazon, la cui sede centrale è a Seattle negli Stati Uniti d’America, è un colosso multinazionale noto soprattutto per il suo portale di e-commerce. Oggi, tutti i principali media italiani pubblicano la notizia del primo sciopero in Italia di tutto il personale dipendente del gruppo impegnato nel settore della logistica, bloccando di fatto per 24 ore nel nostro Paese la consegna di pacchi e pacchetti acquistati sul sito di commercio elettronico.
La notizia è occasione per andare a vedere cosa succede nel settore dell’e-commerce in Africa, dove Amazon spedisce i propri pacchi ma in cui in realtà non è fisicamente presente con il proprio portale di vendite online, avendo preferito concentrare le proprie attività nel continente nella fornitura di servizi per la rete internet (soprattutto di cloud computing) attraverso la propria controllata Amazon Web Service (Aws).
Sono infatti 17 i Paesi del continente (Algeria, Angola, Botswana, Camerun, Egitto, Ghana, Kenya, Mauritius, Marocco, Namibia, Nigeria, Senegal, Sudafrica, Tanzania, Tunisia, Uganda e Zimbabwe) verso i quali è possibile far spedire determinati prodotti acquistabili dal celebre portale di e-commerce. Non è un caso che il sito di Amazon sia tra i più visitati in Sudafrica, ma qualsiasi acquisto effettuato sul portale di Amazon da un utente che si collega da un qualsiasi Paese del continente sarà completato altrove, spesso direttamente negli Stati Uniti, da dove sarà poi spedito verso la destinazione finale indicata dall’acquirente.
Alla base di questo è la considerazione che la strategia di sviluppo dell’e-commerce elaborata da Amazon poco si concilia con le difficoltà che un qualsiasi servizio di e-commerce è costretto a dover far fronte in Africa, dagli ostacoli alla catena di approvvigionamento alle barriere logistiche, sono tutti elementi che hanno frenato il patron di Amazon, Jeff Bezos, dal guardare al mercato delle vendite online in Africa.
Una scelta che ha lasciato perciò molto spazio alle startup locali e che anche a causa del Covid nell’ultimo anno hanno visto aumentare valore e giro d’affari. La più nota è senz’altro Jumia, startup fondata a Lagos nel 2012 da un gruppo di tecnici informatici tedeschi e dal 2019 quotata alla borsa di New York, il cui valore è cresciuto di oltre il 1000% dall’inizio della pandemia e la cui capitalizzazione di mercato ha superato i 5 miliardi di dollari.
Le nuove tecnologie e gli sviluppi legati alla diffusione della pandemia stanno contribuendo a modificare rapidamente e radicalmente le abitudini di acquisto dei consumatori africani e, in generale, il settore della logistica.
In Nigeria, la startup digitale Kobo360 ha sviluppato un’app che ha rivoluzionato le spedizioni cargo semplicemente connettendo l’intera catena di fornitura, la filiera, garantendo in questo modo la sicurezza e la responsabilità di una merce in transito. Nel caso di Kobo360, una centrale operativa è in grado di monitorare la posizione di un camion in tempo reale tenendo le comunicazioni con gli autisti, i produttori e i distributori, anche tramite l’aiuto di un gps satellitare.
E grazie alle sue soluzioni, Kobo360, pur essendo una startup, è riuscita a innalzare rapidamente in breve tempo il proprio volume di affari, appunto perché è in grado di offrire una soluzione a una necessità diffusa di agricoltori e industria.
Sulle necessità dello shopping online ha invece puntato la senegalese Ouicarry, impostando dei servizi di consegna legati ai servizi di e-commerce internazionali. «Pensavamo di avviare una tradizionale società di consegne – ha raccontato alla Bbc il cofondatore di Ouicarry, Olabissi Ojohui – ma ci sono bastati pochi mesi per capire che molte persone volevano comprare prodotti da siti francesi o americani, le quali però avevano problemi a consegnare in Africa».
Così Ouicarry si è inventata un sistema per garantire le consegne e colmare l’ultimo miglio, fino al destinatario finale. Sulla tempestività (consegne in mezz’ora) ha invece puntato un’altra startup senegalese, la Paps. E non mancano in tanti Paesi sistemi di trasporto su tre ruote collegati ad app che consentono di unire la domanda all’offerta (per esempio Keke in Nigeria). E la possibilità di comprare online, vista la diffusione degli smartphone e i problemi di traffico, viene cavalcata con entusiasmo. Un’indagine di PayPal rivela che l’89% degli utenti internet nigeriani acquista in rete o prevede di farlo in futuro. Ecco allora che c’è chi punta all’e-commerce interno. È il caso di Olatorera Oniru, studi di economia alle spalle, che ha lanciato a Lagos il negozio online Dress Me Outlet, scegliendo la politica delle consegne gratuite e dei ribassi. In questo modo sta fronteggiando Jumia, il principali siti generalisti delle vendite online.