di Mariachiara Boldrini
La storia del primo studente e professore africano di un’università europea. All’inizio del Settecento, quando imperversava la tratta degli schiavi, un bambino ghanese fu portato in Europa. Il suo destino sarebbe stato diverso: grazie al sostegno di un mecenate olandese fu il primo studente universitario e professore africano in Europa. Anton Wilhelm Amo divenne filosofo. Oggi è un simbolo del movimento Black Lives Matter e gli sono state dedicate una statua e una strada. Ma il suo pensiero rimane sconosciuto ai più
Nella babele del revisionismo iconoclastico sollevatosi col Black Lives Matter, nell’agosto 2020 ha finito per diventare un simbolo di decolonizzazione del pensiero e dell’urbanistica. Nel Mitte di Berlino c’è infatti una strada, fino a qualche anno fa intitolata ai Mori (forse gli schiavi o i neri che popolarono l’area), che oggi ha preso il suo nome. Negli anni Sessanta l’Università di Halle-Wittenberg eresse una statua in suo onore e il suo Trattato sull’arte della filosofia sobria e accurata, di ambito filosofico empirista, a ragione trova posto nelle biblioteche tedesche, russe e ghanesi.
Anton Wilhelm Amo era un filosofo africano, il primo a laurearsi e poi insegnare in una università europea. Solo negli anni Sessanta l’intellettuale ghanese Kojo Abraham e il presidente del Ghana Kwame Nkrumah, con cui condivideva sia la formazione filosofica sia l’origine etnica nzema, riusciranno a ricostruirne la vita e a rielaborare la sua eredità intellettuale. Fino ad allora, poco era rimasto sui grandi libri del pensiero illuminista di Amo e del dibattito a cui aveva partecipato in vita.
Sponsorizzato da un duca
Secondo le ricostruzioni di Abraham, Amo nacque ad Axim, nell’odierno Ghana, nel 1703. Incerte sono le circostanze che lo portarono in Europa, a soli quattro anni, su una nave della Compagnia delle Indie. Leggenda vuole che sia stato venduto come schiavo, ma il fatto che sia riuscito a mantenere il suo cognome farebbe invece pensare che sia stato inviato in Europa per essere educato alla Chiesa riformata olandese. Affidato però ad Anton Ulrich, duca di Brunswick-Wolfenbüttel, da poco convertitosi al cattolicesimo, Amo venne avviato agli studi. Perché il duca lo avesse fatto studiare è difficile a dirsi. Quello che è certo è che Amo fu trattato come uno di famiglia, venne battezzato nella cappella del castello di Selzthal, in Austria, entrò in contatto con Leibniz, che a casa Ulrich lavorava come bibliotecario, e anche il figlio del duca, August Wilhelm, continuò a finanziare i suoi studi, prima all’Accademia Wolfenbüttel Ritter e poi all’Università di Helmstedt, in Bassa Sassonia, frequentata in passato dallo stesso Anton Ulrich.
Una mente brillante
Quando anche i finanziamenti nobiliari finirono, con l’arma della retorica e del diritto romano il giovane nzema riuscì ad immatricolarsi gratuitamente a un master in legge alla nuova Università di Halle, centro della libertà intellettuale dell’epoca, convincendo i suoi esaminatori dell’ingiustizia che avrebbe subito se non fosse stato ammesso: «Non sono io, nero africano, ad essere inadeguato allo studio – argomentò – ma l’atteggiamento europeo di esclusione a non essere conforme al diritto di cittadinanza che gli europei stessi hanno creato».
Costretto a fuggire per un’ondata di discriminante clericalismo che si stava propagando a Halle, si rifugerà all’Università di Wittenberg, dove frequenterà altri due dottorati e si avvicinerà alle scienze. Dapprima ottenne quello che oggi diremmo un dottorato in filosofia, e successivamente studiò logica, astronomia e medicina, discipline che avrebbero influenzato il suo pensiero.
Orgogliosamente africano
Fattosi conoscere per le sue critiche al dualismo cartesiano mente-corpo, Amo si trovò ben presto al centro di un dibattito su un arduo quesito: sono, i neri africani, intellettualmente capaci quanto i bianchi? La risposta è essenzialmente contenuta nella possibilità riconosciutagli di tenere conferenze su filosofi come Leibniz e Christian Wolff, e sul rapporto tra filosofia e diritto, quando, tornato a Halle senza più sostegni finanziari, chiese di potersi avvalere dello stesso diritto all’insegnamento concesso agli europei.
Fieramente autodenominatosi “l’Africano”, con l’aggiunta del cognome romano “Afer”, insegnò a Jena, dove fu ignorato dall’intellighenzia coeva, cioè da Schiller, Fichte, Schelling, Hegel e da tutti coloro che consideravano il continente da cui egli proveniva un continente “senza storia”. Dopo aver lavorato per un po’ come consigliere di Federico il Grande, reggente di Prussia dal 1740, di cui il duca Anton Ulrich era stato un forte sostenitore, a metà del Settecento fece ritorno in Ghana, una terra di cui non conosceva la lingua né la cultura.
Destino incerto
Dei diritti dei Mori in Europa, la tesi che elaborò a Halle, è il suo unico scritto sulla razza e sulla tratta, a riprova del fatto che la sua educazione rientrava per intero nella tradizione europea ed era impregnata più di latino – lingua che risulta conoscesse particolarmente bene – che di Africa. Erano gli anni della riscoperta della ragione e dell’assolutismo illuminato, quando l’autorità dispotica dei regnanti si autolegittimava con riforme sociali fondate sulle norme della “morale”, ma questo studioso di origine africana e cultura tedesca fu costretto dallo zeitgeist ad accendere in solitudine il lume della ragione.
Della sua sorte, in un villaggio ad alcuni chilometri da Axim, poco sappiamo. Alcuni dicono che si sia riunito alla famiglia, altri che sia diventato indovino, altri ancora che, forse a motivo delle sue idee progressiste e antischiaviste, sia finito recluso nel Forte San Sebastian, appartenente alla Compagnia che cinquant’anni prima lo aveva portato in Europa, cambiandogli, per sempre, la vita.