di Francesco Bortoletto – Centro studi AMIStaDeS
Lo scorso 2 marzo l’Assemblea generale dell’Onu condannava l’aggressione russa all’Ucraina con 141 voti in favore. Tra i 35 Paesi astenuti, 17 erano africani, offrendo la dimostrazione tangibile dei benefici diplomatici che Mosca sta raccogliendo come frutto della propria penetrazione nel continente (anche se, nel 2014, furono 26 gli Stati africani che si astennero sulla risoluzione di condanna dell’annessione della Crimea).
Il Gruppo Wagner
Fin dai primi anni Duemila la Russia di Vladimir Putin ha rivolto nuovamente lo sguardo all’Africa, fornendo nuovo impulso a quella rete di relazioni costruita dall’allora Unione sovietica e cercando di espandere la propria influenza nel continente per riguadagnare lo status perduto di superpotenza globale. L’operazione ha conosciuto un’accelerazione dalla metà dello scorso decennio, portata avanti soprattutto tramite mercenari privati coi quali, tuttavia, il Cremlino nega ogni legame.
Stando ai rapporti delle intelligence occidentali e a diverse inchieste giornalistiche, questi soldati sarebbero dei mercenari arruolati da compagnie private russe, assoldati per portare avanti gli interessi strategici, economici e politici di Mosca. Ci si riferisce generalmente a loro come Gruppo Wagner, anche se, più che un singolo corpo, si tratterebbe in realtà di una galassia di diversi attori, non soltanto militari ma anche soggetti più prettamente economici come compagnie d’investimento o operanti nel settore dell’estrazione mineraria. Il Cremlino si servirebbe dunque di questi attori nel tentativo di incrementare la propria influenza negli scenari più a rischio della realtà internazionale, stando ben attento a mantenere nascosta questa affiliazione in modo da poter negare l’eventuale coinvolgimento in attività illecite.
I mercenari del Gruppo Wagner hanno fatto la loro comparsa sul campo di battaglia nel 2014 al fianco dei separatisti filo-russi nel Donbass, per poi essere impiegati nella guerra civile siriana con le forze di Bashar al-Assad e in Venezuela a sostegno di Nicolás Maduro. Pare che il nome del gruppo derivi dal nom de guerre (Wagner) dell’ex-ufficiale dell’intelligence russa Dmitry Utkin, fondatore del gruppo finanziato da Yevgeny Prigozhin, oscuro imprenditore e strettissimo alleato di Putin. È in questi scenari che i soldati di Wagner si sarebbero resi protagonisti di molteplici violazioni dei diritti umani, crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Armi per risorse (e influenza)
La presenza russa in Africa è cresciuta esponenzialmente negli ultimi anni, soprattutto nei settori della difesa e della sicurezza. Sicurezza, va specificato, non tanto per le popolazioni locali quanto, piuttosto, per una serie di regimi autoritari che si servono delle armi, degli addestratori e dei mercenari di Mosca per difendersi da ribelli, separatisti e jihadisti vari.
Nel 2019, durante il primo summit Russia-Africa a Sochi (quest’anno dovrebbe tenersi la seconda edizione a San Pietroburgo), Mosca ha siglato accordi di vario genere con una trentina di Paesi del continente africano (definito da Putin una priorità della sua politica estera), dall’export di armi al nucleare civile. Da un lato, l’obiettivo per i russi è conquistare nuovi mercati e accedere alle abbondanti risorse naturali africane; dall’altro, estendere la propria influenza globale e rinforzare il fronte anti-occidentale (o almeno non ostile alla Russia) in un mondo sempre più multipolare. Dal canto loro, i leader africani ottengono appoggio diplomatico da Mosca e muscoli militari per stabilizzare il proprio potere e, inoltre, accordi commerciali da svariati miliardi di dollari.
Non potendo evidentemente competere con Pechino sul piano della partnership commerciale, Mosca sta puntando sulle forniture militari (circa la metà delle armi importate dall’Africa sono russe) e sulle materie prime. Tipicamente, i militari russi (ufficialmente “addestratori”) offrono ai leader in difficoltà la possibilità di condurre operazioni contro i loro rivali senza precondizioni politiche come il rispetto dei diritti umani, dello Stato di diritto o del diritto umanitario: dalle campagne di disinformazione online agli attacchi armati (anche contro la popolazione civile), passando per la collocazione di mine non contrassegnate. In cambio, le compagnie russe (sia private legate a Wagner che statali, soprattutto energetiche, come Gazprom e Lukoil) ottengono diversi vantaggi: diritti di sfruttamento minerario (dai diamanti all’uranio), contratti commerciali privilegiati o accesso a infrastrutture strategiche come porti, aeroporti e basi militari.
La Russia in Africa
Durante la Guerra fredda, l’Urss era il “patrono” politico dell’Africa, avendo sostenuto diversi movimenti rivoluzionari e pro-indipendenza in funzione anti-occidentale. Dopo il 1991, la Russia abbandonò questo scacchiere per tornarci nel nuovo Millennio e con sempre maggior vigore dal 2015 in poi, anche nel tentativo di aggirare le sanzioni occidentali imposte a seguito dell’annessione unilaterale della Crimea. Mosca ha così riallacciato i rapporti con alcuni ex-alleati come l’Algeria, l’Angola, l’Egitto e il Mozambico, ma sta ora cercando di fare del continente un hub strategico: dal Sudafrica al Sudan, dallo Zimbabwe al Marocco, dal Madagascar alla Guinea, la rete clientelare del Cremlino si estende ad oltre una ventina di Stati (e pare ci sia il via libera per costruire basi militari in 6 diversi Paesi).
I mercenari russi si sono infiltrati nella Repubblica Centrafricana, che ormai di fatto controllano, dal 2017. Pare che siano addirittura in “stretto contatto” con i caschi blu dell’Onu. Qui un ex-spia russa è diventata il consigliere per la sicurezza del presidente Faustin-Archange Touadéra, mentre il governo vende a Wagner i diritti di estrazione di oro e diamanti, di cui il Paese è estremamente ricco. Uno “status speciale” è stato offerto alle compagnie minerarie russe anche in Guinea.
Il Sudan ha chiesto aiuto ai russi per domare le proteste che lo attraversavano, mentre Niger, Mauritania, Mali, Guinea, Burkina Faso e Chad (gli ultimi quattro teatri di recenti colpi di Stato) si sono rivolti a Wagner per contrastare il terrorismo islamista dei gruppi affiliati all’Isis e al-Qaeda, che sta insanguinando l’intero Sahel.
In Mali, i soldati russi stanno occupando il vuoto creato dal ritiro dell’ex-potenza coloniale francese, che lo scorso febbraio ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane (iniziata nel 2013) a seguito di attriti con la nuova giunta militare. Anche qui è stata documentata la partecipazione di mercenari russi in efferati attacchi sui civili. I soldati di Wagner hanno inoltre combattuto per il maresciallo Khalifa Haftar in Libia dal 2018 e sono tuttora presenti nel Paese, nonostante l’impegno delle parti belligeranti ad espellere tutti i mercenari stranieri.
Nonostante l’impegno russo in Africa stia crescendo, non è comunque ancora in grado di competere né con quello europeo né con quello cinese in termini economici (Pechino ha un giro d’affari dieci volte superiore a quello di Mosca con i Paesi africani), e nemmeno con quello statunitense, specie sul versante militare (Washington mantiene circa 6000 operativi sul continente, mentre quelli russi sono stimati tra le 1000 e 2000 unità). A discapito dei russi sono inoltre da considerare alcune variabili difficilmente prevedibili, come l’esito della guerra in Ucraina, l’efficacia delle nuove sanzioni occidentali e l’andamento dei mercati globali dell’energia nel prossimo futuro.
Sitografia:
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