È stata la prima (e finora unica) donna pilota somala. Costretta a fuggire dal suo Paese, oggi è ritornata in patria, salutata come un’eroina.
Asli Hassan Abade ha 59 anni, ma fin da bambina ha coltivato il sogno di volare. Cresciuta vicino all’aeroporto di Mogadiscio, guardava quei grandi aerei decollare e atterrare e immaginava un futuro tra le nuvole. Un futuro che si è costruita con grande determinazione.
Favorita dalle politiche di emancipazione femminile varate dal governo di Siad Barre, Asli si arruola nell’aeronautica somala e compie il primo volo nel 1976. Poi lascia la Somalia per frequentare un training in Italia (che allora accoglieva i somali nelle proprie accademie militari) e negli Stati Uniti. Tornata nella sua terra natale, inizia a prestare servizio nella Somali Air Force. Ancora oggi è grata al governo di allora per averle dato la possibilità di pilotare i caccia supersonici.
Dopo un decennio di servizio, però, in Somalia l’aria cambia. Il regime è sempre meno forte e soffiano i primi venti di guerra. Asli lasciato così il Paese di nuovo e si sposa un ingegnere aeronautico americano. «Ci siamo stabiliti a Dallas in Texas – ricorda -, lì ho avuto i miei quattro figli: una ragazza e tre ragazzi».
Negli Stati Uniti ha una vita serena e appagante, ma le manca molto il suo Paese. Ma non può tornare. La guerra civile rende difficile stabilirsi in sicurezza in Somalia. Nel 2011 vola a Mogadiscio per consegnare forniture mediche all’Ospedale dei Bambini Forlanini. Ma ci rimane solo 24 ore, al Shabaab mal tollera la presenza di una donna pilota, negazione della loro visione oscurantista del panorama femminile. Così ritorna negli Stati Uniti.
Nel 2017 però le condizioni cambiano. A Mogadiscio si insedia un governo più stabile e sostenuto dalla comunità internazionale. Le condizioni di sicurezza migliorano. E così Asli decide di tornare. E a Mogadiscio trova un’accoglienza fuori dal comune.
«C’erano molti ex colleghi, ufficiali e piloti, in attesa di ricevermi in aeroporto – osserva -. Ho pianto, e tutti si sono sentiti emozionati e hanno pianto con me. Quando sono uscita dall’aereo, ho baciato il terreno. Non potevo credere di essere a Mogadiscio. Ho guardato l’oceano, ho alzato le mani e ho respirato l’aria fresca, naturale e non inquinata. È stato un momento magico».
I suoi concittadini si sono scatenati sui social media salutandola con entusiasmo. Anche lei può diventare il simbolo di una Somalia che torna a vivere.