Attacco alla moschea nel Sinai. L’analista: «La penisola è la nuova frontiera dell’Isis»

di Enrico Casale
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di Enrico Casale

«Quella del Sinai, in Egitto, è una storia travagliata. L’attacco di ieri si inserisce in una situazione di irrequietezza della penisola». A parlare è Giuseppe Dentice, dottorando dell’Università Cattolica di Milano e ricercatore dell’Ispi. A lui abbiamo chiesto di contestualizzare l’attentato alla moschea di Al Rawdah che ha fatto 235 morti e decine di feriti (ma il bilancio non è ancora definitivo).

Il Sinai da sempre è una regione instabile, perché?
La penisola del Sinai è abitata da tribù beduine. Queste, da sempre, si sentono trascurate dal governo centrale. Chiedono maggiore presenza delle autorità, più servizi alla popolazione, maggiore attenzione ai problemi del territorio. Il malcontento è andato covando negli anni. Su di esso, recentemente, si è innestato il morbo terrorismo. Al Qaeda, prima, e Isis, oggi. I jhadisti si sono erti a paladini dei beduini.

Chi sono e quanti sono i terroristi?
I gruppi jihadisti nascono come una costola locale di al Qaeda. Nel 2014, lasciano il network di Osama bin Laden e aderiscono allo Stato islamico e si fanno chiamare Stato islamico della provincia del Sinai. Non sono tantissimi, si stima che siano non più di un migliaio, ma controllano tutto il Sinai settentrionale e si sono infiltrati in quello meridionale. Attualmente, il Sinai è la zona in cui l’Isis è più forte al di fuori dell’Iraq.

Il Sinai è importante per lo Stato islamico?
Sì, molto importante. Dopo le sconfitte in Siria e in Iraq, Daesh si sta riposizionando strategicamente e ha trovato nella penisola egiziana un buon territorio nel quel trasferire uomini, mezzi e capitali. Trasferimento che è in corso da circa un anno e mezzo. Non è un caso che i jihadisti del Sinai siano comandati da Abu Hajar al-Hashemi, un irachenao, ex ufficiale dell’esercito di Saddam Hussein.

L’attacco di ieri ha dimostrato una grande capacità tattica e organizzativa…
La novità di questo attacco sono due. La prima è che hanno colpito civili inermi in un luogo sacro. Finora avevano colpito prevalentemente militari o esponenti politici. La seconda è che hanno adottato tecniche di guerriglia importate dall’Iraq e dalla Siria. Il cecchinaggio sulle ambulanze è una triste tattica vista molte volte in Medio oriente, ma per la prima volta adottata in Sinai.

Mentre non è una novità il fatto che siano stati presi di mira i musulmani sufi.
I sufi sono quotidianamente presi di mira da altre componenti islamiche più radicali. Per esempio, i salafiti li etichettano come infedeli e , nel caso migliore, li sbeffeggiano, nel caso peggiore, passano alle vie di fatto.

Come ha reagito all’attacco il presidente al Sisi?
Per il presidente e per i militari egiziani questo attacco è una sconfitta. Da tre anni vanno dicendo che il Sinai è un luogo sicuro e oggi si ritrovano con decine di morti. Un’autenica debacle. Ancora più grave se consideriamo che il prossimo anno si terranno le elezioni presidenziali…

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