Un lungo corridoio bianco, privo di colori accesi, illuminato da una luce fredda. Sembra di entrare in un ospedale o in una clinica. Al centro del corridoio una piroga di dieci metri, sulla parete una frase ripetuta in sei lingue, due delle quali africane. Una è swahili, l’altra lingala: «Tutto passa tranne il passato», recita la frase. Il lungo corridoio che mette in comunicazione il moderno centro visitatori con l’edificio del museo fa presagire che questa non sarà la visita di un museo qualunque, ma soprattutto avverte che qui è custodita la la memoria di un passato che non può essere dimenticato. Parliamo del Museo reale per l’Africa Centrale di Tervuren, il più grande museo al mondo dedicato alle culture e alla storia africana, aperto a partire dall’8 dicembre 2018, dopo cinque anni di rinnovamento e ammodernamento.
Una Storia violenta
Una visita a questo sito così straordinario non può prescindere da una lettura degli eventi storici che hanno portato alla sua nascita e alla raccolta di ciò che oggi vi è contenuto. La storia di questo museo è intrisa di sangue, saccheggi, violenze. Essa testimonia il lato più oscuro del colonialismo europeo in Africa ed i crimini perpetrati da uno dei suoi protagonisti più discussi: Re Leopoldo II del Belgio, che divenne proprietario unico e dittatore dello “Stato Libero del Congo” nel 1885 al termine della conferenza di Berlino indetta proprio per dirimere le pretese delle nazioni europee sul bacino del fiume Congo. Quando Bruxelles ospitò l’esposizione internazionale del 1897, Leopoldo organizzò una esibizione coloniale sui terreni di proprietà reale a Tervuren, nella periferia orientale di Bruxelles. Nel meraviglioso parco che circondava l’originario edificio coloniale fece addirittura allestire un “originale” villaggio africano a beneficio dei visitatori, dove vennero collocati dei congolesi portati dall’Africa per l’occasione. Ben sette di loro morirono durante i giorni della manifestazione.
Fonte di ispirazione
La sezione coloniale africana dell’esposizione internazionale ebbe una fortissima eco nel panorama artistico mondiale. A venirne colpito fu soprattutto il centro dei principali movimenti artistici dell’epoca, Parigi. Da questo momento in poi l’interesse verso l’art nègre si diffuse tra tutti i principali artisti presenti all’epoca nella capitale francese, tra i quali Picasso, Modigliani, Matisse. Il Primitivismo, e cioè l’adozione di alcuni dei canoni che contraddistinguono l’arte africana ed in particolare maschere e sculture lignee, pose così le basi per due movimenti che nacquero proprio in quel periodo, il Cubismo ed il Fauvismo. Grazie ai profitti accumulati nello Stato Libero del Congo, il monarca intraprese un ambizioso programma di costruzione che condusse alla realizzazione della sfarzosa struttura attuale. L’esposizione di Tervuren acquisì un carattere permanente dal 1898 e l’edificio coloniale proseguì il proprio ampliamento fino al 1908, anno in cui i domini di Leopoldo II confluirono nella colonia del Congo Belga e l’amministrazione del museo ricadde sotto il ministero delle colonie.
Un’Africa barbara e arretrata
Il percorso originario del museo era costellato di statue e raffigurazioni che perpetravano lo stereotipo di un’Africa barbara ed arretrata, inneggiavano all’azione civilizzatrice dell’uomo europeo dichiarandone esplicitamente la superiorità. Alcune di queste opere sono raccolte in una delle prime sale del moderno centro visitatori affinché il visitatore possa rendersi conto di come i curatori dell’epoca influenzassero la cultura europea dell’epoca, coltivassero il pregiudizio giustificando in questo modo lo sfruttamento coloniale. Queste sculture e dipinti mostrano popoli arretrati, violenti, privi di indumenti, dominati dalla superstizione e dalla paura. Lo stesso obbiettivo ha guidato l’opportuna scelta di mantenere una sala del museo (“la sala del coccodrillo”) esattamente come si presentava il secolo scorso. Al suo interno è evidente come i reperti siano disposti ad esaltare da un lato l’esotismo della natura africana, dall’altro lo stile di vita primitivo dei suoi abitanti.
Raccontare l’orrore
Le radici coloniali del museo hanno suscitato da sempre un certo imbarazzo nell’opinione pubblica belga, e animato un acceso dibattito se fosse opportuno o meno continuare a mostrare le testimonianze di un passato così scomodo. La curiosità maggiore alla riapertura era quindi focalizzata su come i curatori avessero affrontato la delicata questione della rivisitazione in senso critico del percorso e delle modalità espositive. La scelta dell’organizzazione è stata quella di non nascondere nulla di ciò che è avvenuto. Il visitatore, appena varcati i cancelli dei giardini reali, incontra l’installazione dell’artista congolese Freddy Tsimba, otto figure nude in metallo con le gambe divaricate e le braccia braccia aperte appoggiate al muro, come schiavi in attesa di frustate. Si tratta di una delle immagine più iconiche e fotografate. Numerose fotografie in bianco e nero disseminate lungo il percorso dell’esposizione raccontano il saccheggio di risorse operato sistematicamente da Leopoldo II e poi dal Belgio coloniale. Non vengono mostrate le immagini più crude di massacri e torture inflitte alle popolazioni locali, probabilmente per non impressionare i visitatori più piccoli. È raccontata la tratta degli schiavi, sono esposte le catene. Bisogna riconoscere che la lettura critica è stata operata ed è fermamente negativa.
La collezione
Questa considerazione, auspicabile ed attesa per chi si appresti ad una visita consapevole e possegga anche solo una minima conoscenza degli eventi congolesi, rappresenta un passaggio essenziale perché ci si possa godere l’essenza del museo, e cioè un’immensa e ricchissima esposizione di oggetti originali dell’Africa centrale. Il museo raccoglie reperti antropologici, artistici e naturalistici provenienti dalle aree sottoposte alla dominazione coloniale belga, che corrispondono agli attuali Congo, Burundi e Rwanda. La prima parte del percorso è dedicata alle culture dell’Africa centrale, delle quali vengono approfonditi i costumi, la musica, il folklore. Molto interessante la sala dedicata alle lingue parlate in quelle regioni, con un laboratorio interattivo per apprendere alcune basi della grammatica swahili e con una rassegna di kanga, stoffe tradizionali in diversi colori e fantasie che riportano frasi e proverbi legati alla saggezza popolare. La grandissima varietà culturale di quelle regioni si riflette sull’esuberanza e sulla fantasia con le quali sono realizzate le maschere lignee, di cui sicuramente questo museo ospita la collezione più importante del mondo. Vengono approfondite le caratteristiche distintive delle popolazioni che esploratori e coloni europei incontrarono nel corso della loro penetrazione del continente. Un esempio fra tutti è quello del regno Kuba, che era situato nell’attuale provincia del Kasai. La meravigliosa capitale Nsheng, la complessa organizzazione sociale e la raffinatezza dell’artigianato impressionarono i primi viaggiatori che li incontrarono. Sono esposte veri e propri tesori archeologici che è sorprendente scoprire, come un ricco corredo funebre di epoca medievale appartenente alla civiltà kisaliana, progenitrice della moderna cultura Luba. Sono degni di menzione, poi, gli oggetti frutto della commistione tra gli stili artistici locali e l’arte sacra introdotta dai primi missionari. Crocifissi e statue realizzati con materiali reperibili localmente (legno, fibre vegetali) presentano fattezze e stili artistici tipicamente africani. L’enorme esposizione è ospitata all’interno di sale sfarzose, ricoperte di marmi e affreschi. Se l’intento di Leopoldo II era quello di stupire il visitatore con la magnificenza architettonica, il suo obbiettivo è stato sicuramente raggiunto.
Restituire lo stupore
La sezione naturalistica è ricchissima e riflette lo stupore per una natura rigogliosa ed esotica che certamente provarono i colonizzatori. Essi si prodigarono per inviare in Europa quanti più animali, piante e minerali trovassero straordinari. Il risultato fu un imponente saccheggio delle specie che prosperavano all’epoca in foreste e savane. Diverse oggi sono in pericolo critico di estinzione: antilopi bongo, gorilla di montagna, bonobo, okapi. Di alcune di queste specie addirittura sono stati uccisi e imbalsamati interi nuclei famigliari. La collezione entomologica lascia a bocca aperta il visitatore. La biodiversità unica al mondo concentrata nelle foreste dell’Africa centrale si esprime in una moltitudine di aracnidi ed insetti dalle forme, colori e dimensioni più disparate. Il percorso si conclude con le sale dove sono collocate le risorse alle quali attinsero le colonie (avorio, legname) e che il mondo occidentale continua a depredare senza troppi scrupoli etici. Il Congo è stato definito “uno scandalo geologico” per la sua ricchezza in materie preziose e materiali necessari allo sviluppo tecnologico. Nel museo di Tervuren sono rappresentati tutti, dai diamanti all’uranio, dal coltan al cobalto. Il museo reale per l’Africa centrale è rinato sulle ceneri di un museo coloniale edificato e riempito di tesori sottratti alle popolazioni locali. Questa è una verità che non può essere celata e di cui è necessario coltivare la memoria. Oggi vuole celebrare le culture e la natura di quella parte di Africa, ammonendo l’umanità di non ripetere errori e soprusi di cui ancora si scorge la traccia nel presente. Tutto passa tranne il passato.
(Michele Lanzoni)