Per gran parte dell’ultimo decennio il Benin, un piccolo Paese costiero dell’Africa occidentale, è rimasto relativamente intoccato dai problemi di sicurezza che devastano da anni i suoi vicini settentrionali nella regione del Sahel (Nigeria e, soprattutto, Niger e Burkina Faso). Ma il vento sembra essere cambiato: solo questa settimana l’esercito beninese ha fronteggiato due attacchi armati, secondo lo Stato maggiore si trattava di miliziani islamisti provenienti, e poi rientrati, in Burkina Faso e appartenenti a gruppi terroristici organizzati, e più in generale da mesi stanno crescendo i timori per una propagazione della violenza all’interno dei confini beninesi.
di Andrea Spinelli Barrile
Ciò che appare evidente è che da tempo i gruppi armati che operano nei paesi saheliani senza sbocco sul mare spingono per l’espansione negli stati costieri, per guadagnare vie d’accesso all’oceano Atlantico, con tutti i benefici che ne conseguono.
A dicembre il presidente beninese Patrice Talon ha promesso che il suo governo sarà “più determinato e più vigile” di fronte alle crescenti minacce terroristiche, una dichiarazione rilasciata dopo l’uccisione di due soldati, e il ferimento di molti altri, coinvolti in un attacco ad una postazione militare nella regione settentrionale di Atacora, vicino al confine con il Burkina Faso. Il gruppo armato Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin (Jnim), legato ad al-Qaeda, ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, affermando in un messaggio condiviso sulle piattaforme social di aver ucciso quattro soldati. Negli ultimi mesi del 2021 altri due attacchi sono stati segnalati nella stessa area di confine in cui è stato attivo Jnim, anche se tali attacchi non sono mai stato confermati dalle autorità beninesi.
Quello di Atacora è stato il primo attacco al Benin rivendicato da una specifica sigla e rappresenta probabilmente un punto di svolta nella strategia di Jnim nell’area. Il Benin non è infatti l’unico fronte nuovo del terrorismo: in una rara apparizione pubblica alla fine del 2021, il capo del servizio di intelligence estero francese Bernard Emie ha dichiarato alle agenzie internazionali che i combattenti legati ad al-Qaeda stanno lavorando a nuovi piani per estendere i loro attacchi nel Golfo di Guinea, in particolare proprio in Benin e in Costa d’Avorio. E anche il Togo è in stato d’allerta: a novembre le forze di sicurezza togolesi hanno dichiarato di aver respinto un attacco da parte di “uomini armati” non meglio identificati che avevano attraversato il confine dal Burkina Faso.
L’espansione dei gruppi terroristici nei paesi costieri dell’Africa occidentale non tende solo all’obiettivo di creare nuove linee di approvvigionamento e garantirsi uno sbocco sul mare ma attiene anche alla realtà sul campo di battaglia nel cuore del Sahel, dove i gruppi armati hanno sempre più il sopravvento. La strategia di semi-guerriglia portata avanti negli ultimi anni mostra oggi i suoi primi risultati concreti, in particolare la frammentazione delle forze antagoniste. La crisi di missioni come Barkhane, Takuba e Minusma in Mali ne sono solo un esempio. Secondo molti analisti, in vaste aree della regione del Sahel i gruppi armati hanno sfruttato le insoddisfazioni locali, la mancanza di governance e le carenze di sicurezza per impossessarsi del territorio, imporre il proprio governo e controllare le attività economiche. E questo garantisce ai gruppi il controllo pieno di quei territori, con tutto ciò che ne consegue sia a livello militare che politico e sociale.
Tornando al Benin, nelle zone settentrionali da tempo sono in atto tensioni tra pastori ed agricoltori, che tuttavia le autorità beninesi non stanno affrontando con il dovuto impegno: il cuore del problema sono le proprietà fondiarie, per via dei sistemi fondiari sovrapposti che portano a lotte intestine, competizione tra autorità locali, tensioni sulla gestione dei parchi (dove sono avvenuti gli ultimi due attacchi) e malcontento.
Nel 2017 Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana e Togo hanno lanciato l’Iniziativa Accra, concordando di rafforzare la cooperazione in materia di sicurezza nel tentativo di prevenire le ricadute di violenza e gli attacchi transfrontalieri. In particolare, il Burkina Faso ha dichiarato nel novembre dello scorso anno che il suo esercito aveva condotto un’operazione militare congiunta di cinque giorni con Costa d’Avorio, Ghana e Togo che ha portato all’arresto di oltre 300 sospetti e al sequestro di armi, munizioni, veicoli e droga. Noccioline, vista la recrudescenza del terrorismo che ha portato, da allora, ad un colpo di stato proprio in Burkina Faso.