Il premier etiope, Abiy Ahmed, nella foto, ha annunciato l’ingresso dell’esercito nella capitale dello Stato settentrionale del Tigray, Makallé. “Sono lieto di farvi sapere che abbiamo concluso e messo fine all’operazione militare nella regione del Tigray. Il nostro obiettivo ora sarà ricostruire la regione e fornire assistenza umanitaria mentre la polizia federale arresta la cricca del TPLF (Fronte popolare per la liberazione del Tigrè)”, ha scritto il Primo Ministro dell’Etiopia, già Nobel per la Pace, in un tweet dopo tre settimane di combattimenti contro il partito di governo nella regione secessionista.
Giovedì il premier aveva annunciato l’offensiva finale nel Tigray. La svolta dell’azione militare avviene al termine di una guerra che ha colpito duramente la regione settentrionale dell’Etiopia, accusata dalle autorità di Addis Abeba di essersi ribellata all’ordine costituzionale.
Secondo le prime informazioni, le milizie del Tigray People’s Liberation Front (TPLF) sarebbero in fuga.
Posizionato da ieri a 20 chilometri dalla capitale, e conquistate le colline che sovrastano la città, l’esercito etiope sarebbe entrato in città al termine di un’intenso bombardamento dell’aviazione etiopica. Il comandante delle forze armate etiopi, il generale Berhanu Jula, ha confermato il “controllo completo” di Makallè, riferendo della liberazione di 7mila soldati del Comando settentrionale che erano stati presi prigionieri dai combattenti del Fronte popolare per la liberazione del Tigrè. Le forze federali “si sono impadronite dell’aeroporto, istituzioni pubbliche, uffici dell’amministrazione regionale e altre infrastrutture cruciali”, hanno fatto sapere le autorità di Addis Abeba.
Il primo ministro Abiy Ahmed in un intervento sui media nazionali ha ringraziato la popolazione del Tigray per non aver sostenuto il TPLF. “La gente del Tigray, al di fuori di alcune forze del male armate dalla Giunta, ha fatto del suo meglio per sostenere le forze di difesa fino a quando non è entrata a Makallé” ha detto Abiy le cui parole sono riportate sul sito dell’agenzia di stampa etiope (ENA). Secondo il premier, le forze di difesa nazionali hanno potuto contare sulla collaborazione del popolo tigrino in tutte le aree in cui sono intervenute finora. “Questo ha accelerato la vittoria dell’esercito e la sconfitta della giunta”, ha detto. “Prometto che faremo tutto il possibile per aiutare la gente del Tigray a tornare alla loro vita normale ricostruendo le infrastrutture distrutte” ha concluso Abiy dicendosi “estremamente grato ai tigrini”. Al momento è difficile stabilire quanto ci sia di vero nelle dichiarazioni del leader etiope, ovvero se effettivamente la popolazione civile tigrina abbia voltato le spalle alla ribellione.
Quella del Tigray è stata una guerra invisibile, con poche testimonianze indipendenti e immagini giornalistiche. Nessun cronista o diplomatico straniero ha potuto visitare la regione, collegamenti telefonici e internet nel Tigray sono stati interrotti all’inizio delle ostilità, lasciando campo aperto alla propaganda di entrambi gli schieramenti. Le autorità del Tigray avevano accusato la confinante Eritrea di ingerenza nella crisi. Una settimana fa alcuni missili erano stati lanciati dal territorio tigrino verso la capitale Asmara. Sul coinvolgimento diretto di truppe eritree nel conflitto ci sono informazioni discordanti. Tuttavia la scorsa notte almeno sei esplosioni si sono registrate nella capitale eritrea. Lo ha riferito, su Twitter, il dipartimento di Stato Usa. “Alle 22.13 del 28 novembre si sono verificate sei esplosioni ad Asmara”, si legge nel tweet del dipartimento americano. Al momento non si hanno ulteriori notizie sull’accaduto.
Quel che è certo è che la conquista da parte dell’esercito etiope della principale città del Tigray, abitata da mezzo milione di abitanti, è stata preceduta da intensi bombardamenti, confermati da due operatori umanitari. “Siamo stati in grado in entrare a Makallé senza che civili innocenti diventassero obiettivi”, ha assicurato il premier Abiy Ahmed.
Al momento non si conosce il bilancio delle vittime delle violenze, dall’inizio del conflitto più di 40.000 persone sono fuggite dalle regioni colpite dalle violenze. Sempre giovedì, le truppe etiopi sono state dispiegate lungo il confine della regione del Tigray con il Sudan per impedire alle persone in fuga dalla violenza di lasciare il Paese.
L’annuncio della presa di Makallè da parte dell’esercito etiope è un duro colpo per i leader del TPLF (il suo capo politico è Debretsion Ghebremichael), la forza politica e militare che aveva sfidato Addis Abeba e che fino all’escalation militare godeva del massiccio consenso della popolazione tigrina.
Per 17 anni il TPLF ha condotto, sulle aspre montagne del Tigray, una guerriglia che ha portato alla caduta del dittatore Menghistu Hailè Mariam. Dal 1991 ha poi controllato con pugno di ferro, grazie a una rete fittissima di informatori e agenti segreti legati ai servizi di intelligence e alle forze armate, l’intera Etiopia. L’egemonia del TPLF è cresciuta sotto il potere di Meles Zenawi, tigrino, Presidente dell’Etiopia dal 1991 al 1995 e Primo ministro dal 1995 al 2012. In questi anni è cresciuto anche il malcontento delle altre popolazioni che costituiscono il mosaico etiopico: in particolare le due etnie più numerose, gli Oromo e gli Ahmara. L’avvento al potere di Abiy Ahmed (di etnia Oromo), il 2 aprile 2018, ha progressivamente emarginato i leader tigrini, costringendoli a tornare nelle loro roccaforti nel Tigray. La tensione con il governo centrale si è alzata, fino a sfociare nel conflitto.
Il premier etiope ha lanciato l’offensiva contro il Tigray il 4 novembre accusando le forze del Tplf di aver attaccato due basi delle forze federali nella regione, una a Makallè e una a Dansha; affermazioni respinte dalla dirigenza locale, che ha denunciato la sua estromissione dagli incarichi di potere dopo esserne stata al centro per quasi trent’anni. Abiy ha accusato il TPLF di aver oltrepassato «la linea rossa finale» e ha ordinato attacchi aerei e il dispiegamento di truppe nel Tigray. Obiettivo: “Annientare i responsabili della ribellione”.
L’annuncio della vittoria di Addis Abeba è giunto nel tardo pomeriggio di oggi. Nessun commento è arrivato finora dalla dirigenza dissidente tigrina, che in precedenza aveva denunciato intensi bombardamenti contro la capitale regionale, esortando “la comunità internazionale a condannare gli attacchi e i massacri commessi dall’artiglieria e dai caccia”. Gli sforzi di mediazione dell’Unione africana sono finora falliti mentre l’Onu ha chiesto inutilmente per settimane che gli fosse garantito l’accesso alla regione, nel timore di una catastrofe umanitaria. Nei giorni scorsi, il premier aveva assicurato che sarebbe stata aperta “una via d’accesso umanitaria”.
Difficile conoscere la situazione sul campo dal momento che la regione è sottoposta a una rigido black-out delle comunicazioni. Gli osservatori più acuti fanno notare che non circolano foto di prigionieri, di armi confiscate ai nemici, o di folle acclamanti. Restano troppe domande senza risposta. E’ prematuro pensare che la crisi sia conclusa. Nonostante le dichiarazioni trionfanti, non è chiaro se la conquista di Makallè porterà alla fine dei combattimenti dal momento che i tigrini hanno ingenti risorse militari e secondo alcuni analisti possono mobilitare migliaia di uomini. La conquista di Makallè potrebbe sancire la fine delle ostilità (con l’eliminazione o la resa della leadership del TPLF) oppure l’avvio di una nuova fase di scontri, che obbligherebbe l’esercito regolare etiope ad affrontare non più una guerra aperta ma la minaccia insidiosa della guerriglia sulle montagne del Tigray.
(ultimo aggiornamento: ore 18:00 del 29/11/2020)