Secondo l’ultimo World Press Freedom Index, pubblicato il 20 aprile, l’Africa continua ad essere l’area più pericolosa del mondo per i giornalisti. Le due morti di martedì portano il numero di giornalisti uccisi in Africa dal 2016 a 33, e a tre dall’inizio dell’anno. Così commenta Reporters sans Frontières (Rsf) la notizia dell’agguato avvenuto lunedì e costato la vita nel sud-est del Burkina Faso ai due giornalisti spagnoli David Beriain e Roberto Fraile.
I due sono stati uccisi insieme a Rory Young, irlandese, co-fondatore e presidente di un’organizzazione anti-bracconaggio chiamata Chengeta Wildlife; nella stessa azione è rimasto disperso una quarta persona, un militare burkinabé, mentre diversi sono i feriti anche gravi.
Il gruppo si trovava lungo la strada che conduce al parco nazionale muoredi Pama per raccontare gli sforzi condotti dal Paese saheliano nella conservazione del proprio patrimonio faunistico anche in un contesto difficile. Beriain era molto noto anche al grande pubblico italiano per i suoi documentari e per un lavoro condotto sulle mafie italiane.
Forse è proprio l’impegno per la conservazione del patrimonio conteso, un possibile movente dietro al drammatico episodio. Secondo alcuni osservatori, l’ipotesi più probabile e coerente con uno scenario che da un po’ si sta riproducendo in certe aree del Sahel, è che l’attacco rientri in una dinamica che vede, da una parte, organizzazioni non governative e autorità, tra cui guardie forestali, impegnate a difendere le risorse naturali come parchi, riserve, fauna e flora, da attività di bracconaggio o dall’erosione. Dall’altra, comunità che grazie a quelle attività e allo sfruttamento di quelle risorse di fatto sopravvivono. In questo scenario, i gruppi armati jihadisti, che sono attivi nell’area, spesso si fanno difensori delle istanze di queste comunità, guadagnando forme di sostegno tra le popolazioni locali.
Qualunque sia la motivazione, quanto avvenuto in Burkina Faso è un fatto drammatico. Esprimendo il proprio rammarico, il segretario generale di Rsf ha detto che “la morte di questi cronisti è una nuova tragedia per il giornalismo”. Un episodio che “racconta dell’eccezionale coraggio di questi professionisti dei media e dei rischi molto significativi a cui sono esposti mentre cercano di coprire questa regione per noi”.
Beriain, nel ricordo fatto oggi sui media spagnoli, 43 anni, interpretava il giornalismo come una missione da condurre direttamente sul posto, quanto più vicino alla notizia. E questo nel tempo lo aveva condotto in altre situazioni difficili da cui era però sempre uscito indenne. Dalla stampa scritta Beriain era passato ai documentari con la sua società di produzione, la 93 Metros. “La fondò – scrive El Pais – dopo la morte di sua nonna e prende il nome in suo onore. 93 metri era la distanza che separava la porta di casa dal banco della chiesa dove pregava. Juanita non è mai partita da lì e non ne aveva bisogno per vivere, amare ed essere amata. David aveva deciso di nominare la società di produzione con cui avrebbe viaggiato per il mondo per non dimenticare mai che a volte le storie migliori sono nei luoghi più piccoli”.
Beriain era amico dell’altro giornalista caduto, Roberto Fraile. Fraile, 47 anni, era cameraman. Laureato in Geografia e Storia presso l’Università di Salamanca e padre di una figlia e di un figlio anche lui aveva una grande esperienza in fronti di guerra. Era stato dappertutto, nel 2012 era rimasto ferito ad Aleppo, in Siria. Ma quella volta era stato più fortunato.
(Gianfranco Belgrano – Céline Camoin)