Il “re pigro”, secondo i dati provvisori, ha vinto le elezioni presidenziali in Burkina Faso, quindi ha davanti a sé altri cinque anni per mantenere le promesse fatte durante il primo mandato ma travolte dall’ondata jihadista che ha coinvolto e sconvolto il suo Paese. Roch Marc Christian Kaboré, appunto soprannominato il “re pigro” o il “presidente diesel”, si appresta a giurare da presidente per la seconda volta. Nel 2015 – un anno dopo la caduta di Blaise Compaoré, rovesciato da un’insurrezione popolare dopo 27 anni di potere assoluto – l’elezione di Kaboré al primo turno aveva sollevato grandi speranze di sviluppo e cambiamento nella “terra degli uomini retti”. Allora era stato in grado di riunire intorno a sé gli ex membri del regime di Compaoré e i suoi oppositori. Speranze di sviluppo che, tuttavia, sono naufragate durante i cinque anni di governo. Il partito al potere, il “Movimento popolare per il progresso” (Mpp), ne decanta le lodi, ma le promesse elettorali sono state disattese: salute, infrastrutture, acqua potabile, sembrano fuori passo con la realtà delle cose. Il vicepresidente dell’Mpp, Clement Sawadogo, salva comunque il presidente sottolineando che «il suo lavoro e il suo coraggio hanno permesso al Paese di non affondare».
Un Paese stremato
La propaganda non si arresta e non fa i conti con la realtà, con i bisogni della popolazione stremata dalla povertà e dal terrorismo. Il Burkina Faso negli ultimi cinque anni, in maniera progressiva, è sprofondato nel caos. Gli attacchi da parte dei gruppi jihadisti si sono moltiplicati quasi uno al giorno: oltre 1200 morti, più di un milione di sfollati, intere parti del Paese sfuggite all’autorità statale (dove non si è potuto nemmeno votare), le scuole chiuse non per il coronavirus ma per la violenza: la polizia e l’esercito non sembrano essere in grado di fermare la spirale di violenza. Eppure Kaboré si è aggiudicato il secondo mandato promettendo più impegno e determinazione nel combattere i gruppi jihadisti. Il presidente eletto ha dalla sua il fatto di essere un uomo della riconciliazione: ne ha dato prova anche nel passato, dopo gli anni bui del regime di Compaoré, «ma si è trovato travolto e risucchiato in qualcosa, in un problema che arriva dall’esterno», come spiega Rinaldo Depagne dell’International Crisis Group (Icg): il terrorismo appunto. Ma è altrettanto vero che il “re pigro” non è stato in grado di far fronte, con determinazione, all’ondata jihadista.
Un passato “pesante”
Uomo della riconciliazione ma anche un personaggio controverso. Dopo aver studiato in Francia approfitta negli anni Ottanta dell’ascesa di Thomas Sankara per diventare direttore della Banca Internazionale del Burkina Faso ancor prima di avere compiuto 31 anni. Dopo l’assassinio di Sankara nel 1987, entra a far parte dei “Beau Blaise”, i “ragazzi” di Compaoré. L’ascesa al potere è fulminea: più volte ministro, primo ministro, presidente dell’Assemblea nazionale. Insomma, uno degli uomini chiave del regime. Da sempre considerato un successore di Compaoré, Kaboré, per ragioni oscure, cade in disgrazia nel 2012. Sbatte la porta al partito di governo nel 2014 – il regime è ormai al crepuscolo e i sui detrattori lo accusano, ancora una volta, di opportunismo – e fonda il Mpp per poi, un anno dopo, prendere in mano le redini del Paese. Il suo primo mandato, infatti, inizia in maniera laboriosa, come sottolinea oggi Fousseny Ouédraogo, dirigente dell’opposizione: il presidente non «sapeva come guidare la nave, ha speso molto tempo per trovare un primo ministro, con un susseguirsi di rimpasti di governo», arrivando ad essere soprannominato “presidente diesel”. Poi la sua «indolenza di fronte alla minaccia alla sicurezza dello Stato è diventata presto un problema».
Chiuso nel Palazzo
Ouédragogo stima che il secondo mandato ««sarà ancora più catastrofico». Per altri, invece, «è un re pigro, ascolta tutti seduto sul suo trono, prima di prendere una decisione». I tempi si allungano, i problemi si aggravano e come un Re non esce dal palazzo. E anche dopo la rielezione Kaboré non si smentisce. Promette, infatti, «consultazioni permanenti per costruire un Burkina Faso migliore. Metterò tutto il mio impegno affinché in una consultazione permanente si possa lavorare insieme per la pace e lo sviluppo del nostro Paese». Un discorso, all’indomani dell’annuncio della Commissione elettorale della sua vittoria, che ancora una volta vuole tenere insieme tutti in un Paese che sembra molto distanze dal credere, ancora, alle sue promesse. «In un’elezione c’è un vincitore e persone che hanno perso. Questo, però, non deve dissuaderci dal fatto che siamo tutti burkinabé e che tutti, insieme, dobbiamo costruire un Burkina Faso migliore». Un’affermazione rivolta all’opposizione che subito dopo il primo turno presidenziale ha minacciato di non riconoscere il risultato ma che poi ha fatto una parziale marcia indietro spiegando che prende atto del risultato senza, però, rinunciare ai ricorsi per «evidenti frodi». Kaboré ha tentato di pigiare il piede sull’acceleratore, scacciando quei soprannomi che tanto non gli piacciano: «Tutto ciò che riguarda la sicurezza, la riconciliazione nazionale, lo sviluppo, il miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni sono questioni rilevanti, che affronteremo molto rapidamente». L’ennesima promessa. Kaboré ha di fronte a sé cinque anni per togliersi di dosso l’onta del “Re pigro” e del “presidente diesel”, jihadisti permettendo.
(Angelo Ravasi)