Di Valentina Giulia Milani
Benché ieri quello che sembra essere il nuovo uomo forte del Burkina Faso, il capitano Ibrahim Traore, abbia assicurato che la “situazione è sotto controllo” e che “le cose stanno gradualmente tornando all’ordine”, gli eventi del fine-settimana registrano un quadro ancora di confusione dopo il secondo colpo di Stato militare in otto mesi.
Il gruppo militare che ha rovesciato il presidente di transizione del Burkina Faso, il tenente colonnello Paul-Henri Sandaogo Damiba, salito lui stesso al potere lo scorso gennaio con un golpe, ha dichiarato venerdì che le scelte “azzardate” di quest’ultimo “hanno progressivamente” indebolito il sistema di sicurezza del Burkina Faso, “afflitto da attacchi terroristici”.
Il nuovo uomo forte del Paese è ora il capitano Ibrahim Traore: 34 anni, era finora a capo dell’unità di forze speciali anti-jihadiste “Cobra” nella regione settentrionale di Kaya. Il crescente stato di insicurezza nel Paese, quindi, è la principale motivazione addotta dai militari per giustificare il secondo colpo di Stato che il Paese registra in otto mesi. I militari hanno infatti detto alla radio e televisione nazionale (Rtb) che “le aree del Burkina Faso un tempo pacifiche sono passate sotto il controllo di gruppi terroristici armati”.
Dichiarando di appartenere al Movimento patriottico per la salvaguardia e la restaurazione (Mpsr), che aveva preso il potere il 24 gennaio, le nuove autorità hanno spiegato che di fronte al “continuo deterioramento” della sicurezza “abbiamo ripetutamente intrapreso approcci volti a rifocalizzare la transizione sulle questioni di sicurezza”. Ma “rifiutando questa proposta, il colonnello Damiba ha persistito con l’articolazione militare che è stata alla base del fallimento del regime di Roch Marc Christian Kaboré”.
Da diversi mesi, del resto, i motivi di malcontento si sono accumulati all’interno dell’esercito. In merito all’insicurezza, l’attacco al convoglio a Gaskindé, nella regione di Soum, è stato un duro colpo per il morale delle truppe. “Le file dell’esercito si sentono tradite”, ha dichiarato a Radio France Internationale (Rfi) una fonte vicina all’esercito.
Sebbene Paul-Henri Sandaogo Damiba sia stato riconosciuto come un competente soldato di campo, nell’arco di otto mesi al potere non è riuscito a fermare gli attacchi jihadisti che negli ultimi mesi non sono diminuiti nel nord e nell’est del Paese. Questo nonostante il processo di dialogo che l’uomo forte aveva cercato di avviare con alcuni gruppi armati, intensificando al contempo le azioni offensive dell’esercito. Pertanto, le vittorie tanto promesse tardano ad arrivare e mancano materiali e attrezzature.
A dimostrazione dell’incapacità di arginare la minaccia terroristica, lo scorso 13 settembre il colonnello Damiba ha destituito il suo ministro della Difesa e ha scelto di assumerne personalmente le funzioni.
Ma ci sono altri fattori di frustrazione. Come fa notare Rfi, alcuni soldati rimproverano a Paul-Henri Sandaogo Damiba di aver favorito i diplomati della Prytanée militaire du Kadiogo (classe 1992), una scuola superiore militare vicino a Ouagadougou, offrendo loro posizioni chiave nell’amministrazione.
Anche il ritorno dell’ex presidente Blaise Compaoré è stato vissuto in modo negativo da alcuni giovani ufficiali che hanno visto in esso l’influenza, ancora troppo forte, dell’ex guardia presidenziale (Rsp) guidata dal generale Gilbert Diendéré.
Il gruppo militare a capo del nuovo golpe di venerdì ha cercato di rassicurare la comunità internazionale sul fatto che il Burkina Faso continuerà a rispettare i suoi impegni internazionali, in particolare i diritti umani.
Le nuove autorità hanno annunciato, tra l’altro, la sospensione della Costituzione e della Carta di transizione, lo scioglimento del governo e dell’assemblea legislativa di transizione, l’introduzione del coprifuoco in tutto il Paese dalle 21 alle 5 del mattino, la chiusura delle frontiere fino a nuovo ordine, la sospensione di tutte le attività politiche e della società civile e l’imminente convocazione delle forze attive del Paese per scrivere una nuova Carta e designare un presidente civile o militare.
Poco prima dell’annuncio televisivo di venerdì, in alcune zone della capitale è stata dispiegata un’ingente presenza militare dopo una giornata trascorsa all’insegna della tensione. Nel pomeriggio, diverse centinaia di persone, alcune con bandiere russe in mano, si sono riunite nella piazza principale della Nazione a Ouagadougou per rifiutare la presenza militare francese nel Sahel e chiedere la partenza del tenente colonnello Damiba, accusato dai manifestanti di favorire la presenza di Parigi nel Paese. Sabato, alcune decine sostenitori dell’autoproclamato golpista Ibrahim Traoré si sono radunati davanti all’ambasciata francese nella capitale burkinabé, dove hanno appiccato fuoco alle barriere di protezione e lanciato pietre all’interno dell’edificio, sul cui tetto erano posizionati i soldati francesi, quando secondo quanto riportato dalle agenzie sono sparati gas lacrimogeni per disperdere la folla. Altri manifestanti sono stati visti anche abbattere il filo spinato nel tentativo di scalare il muro perimetrale dell’edificio diplomatico. Simili proteste si sono svolte anche a Bobo-Dioulasso nei pressi della sede dell’Istituto francese. Ad alimentare le violenze sono state soprattutto le voci, seccamente smentite sia da Parigi che dallo stesso interessato, che Damiba aveva avuto protezione presso la base militare francese di Kamboinsin.
Dopo 48 ore di scontri tra opposte fazioni, Damiba ha però accettato ieri di dimettersi dal potere “al fine di evitare confronti con gravi conseguenze umane e materiali” mentre Traoré ha invitato i cittadini ad “astenersi da ogni atto di violenza e vandalismo che potrebbe guastare gli sforzi compiuti dalla notte del 30 settembre, in particolare quelli che potrebbero essere perpetrati contro l’ambasciata francese o la base militare francese situata a Kamboinsin”.
Aggiungendo i due golpe in Mali e quello in Guinea, questo è il quinto colpo di Stato in Africa occidentale dal 2020. E proprio la deriva autoritaria registrata negli ultimi anni è stata al centro della condanna che il presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, ha rivolto al golpe del Burkina Faso: in linea con la Dichiarazione di Lomé del 2000, la Carta africana sulla democrazia, le elezioni e la governance e la Dichiarazione di Accra sui cambi di governo incostituzionali, ha espresso “la sua profonda preoccupazione per la recrudescenza di tali cambi di governo incostituzionali in Burkina Faso e in tutto il continente africano”.