Cosa stanno cercando gli autori del massacro di Solhan, il peggior attacco subito dal Burkina Faso da quando si sono registrati i primi atti terroristici nel 2015? Se lo domanda il quotidiano locale Le Pays, cercando possibili risposte all’incomprensibile atto di follia umana che ha portato all’uccisione di circa 160 civili, tra il 4 e il 5 giugno nel nordest del Paese, non lontano dal confine con il Niger.
Una possibile ipotesi potrebbe rientrare nella logica della predazione delle risorse naturali da parte dei gruppi armati. Solhan possiede un importante sito minerario aurifero “che fa sicuramente gola alle bande armate”. Nelle zone remote, prive di autorità dello Stato, i gruppi armati usano il business delle risorse minerarie, rendendo così lo sfruttamento dell’oro, in questo caso, una delle principali fonti di finanziamento del terrorismo nei Paesi del Sahel. Il massacro potrebbe essere quindi servito a seminare un caos favorevole allo sfruttamento illegale e illecito dei giacimenti auriferi per alimentare il contrabbando che a sua volta alimenta il terrorismo in Africa occidentale.
Un’altra ipotesi che mette sul tavolo Le Pays è quella che vede i gruppi armati voler affermare il proprio potere, smentendo con il sangue le parole del ministro della Difesa Sherif Sy, che a metà maggio si era recato a Sebba, a pochi chilometri di distanza, e aveva affermato che l’area era sotto controllo.
Un’affermazione che smentisce, ai microfoni di Rfi l’analista burkinabé Mahamadou Sawadogo, ricordando che negli ultimi tre mesi le popolazioni non hanno mai smesso di abbandonare la cosiddetta zona “dei tre confini”, tra Burkina, Mali e Niger, dove i gruppi armati terroristi cercano di fare terra bruciata. “La zona di Solhan è abbandonata da tempo dalle autorità”, un via libera che dà carta bianca ai gruppi antigovernativi.
Altra ipotesi avanzata da Le Pays vede i terroristi agire per dimostrare che reclutare civili come volontari per la difesa della patria (Vdp) non funziona. A Solhan, i Vdp sono stati attaccati per primi. La distruzione del loro presidio ha aperto le porte al massacro dei civili senza resistenza. L’eccidio potrebbe quindi essere un’azione di rappresaglia contro popolazioni accusate da gruppi armati, di complicità con le Forze di Difesa e Sicurezza (Fds) o gruppi rivali.
Diversi esponenti della società civile avevano messo in guardia, quando nacque l’idea di reclutare civili per appoggiare le forze armate burkinabè, sul fatto che tale strategia avrebbe fatto delle popolazioni civili nuovi bersagli.
Le Pays ricorda la necessità di ripensare a fondo la strategia di difesa e sicurezza. “L’emergenza c’è perché la situazione della sicurezza nazionale potrebbe complicarsi con l’inizio della stagione delle piogge che renderà inaccessibili molte zone”. Si temono anche ripercussioni per la sospensione dei pattugliamenti congiunti con il vicino Mali decisa dalla Francia e per la sospensione della cooperazione militare da parte gli americani. “Non è un segreto che il Mali sia il nido di brulicanti gruppi armati che minacciano l’intera fascia Sahel”. Il capo di Stato, Roch Marc Christian Kaboré, “per primo, deve svegliarsi dal suo sonno leggendario”, scrive Le Pays.