Burkina Faso, le squadracce dei gilet rossi fanno paura

di claudia

di Andrea Spinelli Barrile

Si fanno chiamare “gilet rouge” (gilet rossi) e sono l’equivalente di una milizia estremista in salsa burkinabé: si tratta di un gruppo di giovani internauti che si presentano online, in particolare sui social network, come sostenitori del potere militare di transizione e il loro compito dichiarato è minacciare e mettere a tacere tutte le voci dissenzienti.

La prima volta che sono apparsi sulla scena i gilet rouge era il 29 novembre 2018 e il Burkina Faso era un Paese totalmente diverso da quello che è oggi. Sulla falsariga dei gilet gialli europei, e in particolare dei gilet jeune francesi, a Ouagadougou quel giorno si radunarono circa 3.000 persone per protestare contro l’aumento del carburante. La maggior parte di loro non indossava un gilet giallo ma rosso. L’allora ministro del Commercio, dell’industria e dell’artigianato Harouna Kaboré ritenne “legittime” le richieste: “Stiamo tutti lottando per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori e dell’intera popolazione” disse ai media in quell’occasione. Da quel momento tuttavia i gilet rossi sono quasi spariti dalla scena pubblica, ricomparendo solo qualche mese fa in versione online filo-governativa.

Un’azione di pressione e minaccia che, tuttavia, non è solo online e che preoccupa molto i burkinabé: la famiglia di Safiatou Lopez, una nota attivista della società civile burkinabé, che ha più volte chiesto le dimissioni del leader golpista Ibrahim Traoré ed è sempre stata critica con la giunta militare (per questo vive in esilio in Costa d’Avorio), ha ricevuto nei giorni scorsi la visita di un gruppo di “gilet rossi”, che hanno consegnato un messaggio scritto alla famiglia. Il loro portavoce disse che “attaccheremo direttamente e apertamente chi è contro il regime”. Il clima che si respira è talmente teso e pesante e il timore che la situazione possa degenerare in violenze di massa è concreto. Nei giorni scorsi il Movimento Sens (Servire e non servirsi, nato nel 2020 su iniziativa del noto avvocato e attivista Guy Hervé Kam, che ne è il coordinatore e che si trova in carcere nonostante un tribunale ne abbia ordinato la scarcerazione lo scorso 7 marzo) ha pubblicato un appello per condannare “i discorsi genocidi e violenti” di questo gruppo: “Condanniamo fermamente le azioni irresponsabili di coloro che si autodefiniscono “gilet rossi” e che vanno di casa in casa minacciando altri concittadini. Li esortiamo a fermare immediatamente queste azioni che minano le fondamenta della nostra nazione, mettono a repentaglio la nostra convivenza e minacciano seriamente il fragile tessuto sociale che è già a brandelli”.

Il Sens cita apertamente la Germania nazista, la Cambogia e il Ruanda “e molti altri Paesi che hanno vissuto degli orrori perché la maggioranza silenziosa è rimasta inattiva di fronte ai piani omicidi di una minoranza che credeva che tutto fosse permesso” e precisa che le principali vittime di queste minacce e di queste violenze sono i Fulani: “Dovremmo ricordare che tutte le nostre comunità, e prima di tutto la comunità Fulani, sono tutte ugualmente colpite e che sono tutte vittime del terrorismo?” 

Condividi

Altre letture correlate: