Burkina Faso, Mali e Niger annunciano il ritiro da Ecowas

di claudia

A mezzogiorno di ieri un comunicato stampa congiunto letto contemporaneamente alla tv nazionale del Mali, del Burkina Faso e del Niger ha annunciato l’uscita di questi tre Paesi dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). I leader militari di questi tre paesi, “assumendosi tutte le loro responsabilità di fronte alla storia e rispondendo alle aspettative, preoccupazioni e aspirazioni delle loro popolazioni, decidono in completa sovranità il ritiro senza indugio dal Burkina Faso, Mali e Niger della Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale” si è appreso durante la lettura del comunicato.

La decisione, presa “congiuntamente dal capitano Ibrahim Traoré, dal colonnello Assimi Goïta e dal generale di brigata Abdourahamane Tiani” segna la rottura definitiva tra questi tre Paesi, guidati da giunte militari, con questa organizzazione panafricana, fondata nel 1975. Nel comunicato Ouagadougou, Bamako e Niamey sottolineano un crescente sentimento di “delusione e tradimento” nei confronti dell’Ecowas, accusata di essersi “allontanata dagli ideali dei suoi padri fondatori e dal panafricanismo” e i leader di Burkina Faso, Mali e Niger hanno per questo espresso rammarico per quella che vedono come “l’influenza maligna delle potenze straniere sull’organizzazione”. Secondo le giunte militari Ecowas è oggi una minaccia per gli stessi paesi membri.

Nel comunicato i tre leader militari denunciano le sanzioni imposte dall’Ecowas, definendole “illegali, illegittime, disumane e irresponsabili”, e sostengono che queste misure indeboliscano ulteriormente le popolazioni, già colpite da anni di violenza. Mali, Burkina Faso e Niger insieme contano poco più di 69 milioni di abitanti e coprono una superficie di 2.700.000 chilometri quadrati.

L’uscita di questi tre paesi da Ecowas è in realtà la sublimazione delle tensioni regionali che vanno avanti da almeno due anni e non sorprende più di tanto. Mali, Burkina Faso e Niger erano già stati sospesi da Ecowas, ne subiscono le sanzioni economiche e politiche e si erano già associati tra loro in quella che è l’Alleanza del Sahel, un partenariato tuttavia unicamente militare con scopi di lotta al terrorismo, almeno sulla carta. All’ultima riunione di Ecowas, tenutasi ad Abuja, in Nigeria, a metà gennaio, la possibilità di una simile eventualità era già nell’aria, con in particolare alcuni diplomatici inviati dalle giunte militari da Ecowas che avrebbero minacciato, secondo Rfi, di “sbattere la porta a Ecowas”. Inoltre, nonostante l’annuncio di “ritiro immediato” le procedure dicono altro: il ritiro effettivo dalla Comunità economica degli Stati dell’africa occidentale è in realtà un processo, che secondo le procedure impiega almeno un anno di tempo.

Sempre ieri, Ecowas ha emesso una nota in cui afferma di essere pronta a trovare “una soluzione negoziata” per evitare il ritiro di questi tre paesi dall’Organizzazione, ricordando comunque di non avere ancora ricevuto alcuna comunicazione ufficiale da parte dei tre paesi. Dopo la pubblicazione della nota, il presidente nigeriano Bola Tinubu, attuale reggente di Ecowas, ha incontrato alcuni capi di Stato della subregione per avviare immediatamente una strategia e aprire i contatti con i leader delle giunte militari.

I risvolti pratici di questa decisione sono numerosi e potrebbero rappresentare un forte freno alle economie locali, non solo dei tre paesi golpisti ma di tutta la subregione: oggi un cittadino maliano o nigerino può entrare senza problemi in Senegal, utilizzando unicamente la sua carta di identità, ma con l’uscita dei tre paesi da Ecowas la burocrazia dei visti potrebbe tornare protagonista alle frontiere. Lo stesso vale per i permessi di soggiorno per i cittadini non-Ecowas che vivono nei Paesi Ecowas, e una moltitudine di problemi pratici che ricadono a cascata su cittadini e popolazioni. Un altro tema riguarda le tasse doganali: oggi alcuni prodotti come i cereali o il bestiame sono tassati meno di altri beni e i tre paesi golpisti sono i maggiori fornitori di animali vivi al mercato regionale. Il rischio è che i prezzi delle esportazioni possano aumentare indiscriminatamente, con costi costi maggiori che finiranno anch’essi a cascata sulle popolazioni.

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